Fonte Ukrainian Crisis Media Center

Massimiliano Di Pasquale è uno scrittore e giornalista italiano, autore di alcuni libri sull’Ucraina tra cui un libro di viaggio dal titolo “Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta” pubblicato nel 2012. Lo scorso giugno ha partecipato a una conferenza internazionale a Lviv tenendo un intervento dal titolo “L’Euromaidan e la guerra nel Donbas nei media italiani”. L’Ukraine Crisis Media Center (UCMC) ha intervistato Massimiliano circa il suo più che decennale interesse nei confronti dell’Ucraina, le sue scoperte ad essa legate, che potrebbero dare agli italiani un’importante chiave di lettura del paese, e il suo nuovo libro sull’Ucraina in fase di stesura.

UCMC: Massimiliano, sappiamo che lei viaggia in Ucraina da più di 10 anni. A suo avviso come è cambiato il Paese negli ultimi tempi?

Massimiliano Di Pasquale: Il Paese è cambiato tantissimo negli ultimi anni. Sono stato per la prima volta in Ucraina nell’estate del 2004, ossia prima della Rivoluzione Arancione, quando governava ancora Kuchma. Nonostante l’atmosfera post-sovietica, mi piacque tantissimo. Ho tuttora ben fissi nella memoria i ricordi di quel primo viaggio. Parlando con la gente, specialmente nelle zone occidentali, si notava un certo fermento, si intuiva che qualcosa stava finalmente per cambiare. Molti erano convinti che alle elezioni presidenziali, in autunno, il candidato di Kuchma, Yanukovych, avrebbe perso. C’era una situazione di attesa e di fermento.

I frequenti soggiorni a Kyiv e nel resto dell’Ucraina, dopo l’elezione di Yushchenko, mi hanno permesso di osservare ciò che è accaduto nel periodo successivo alla Rivoluzione Arancione: le grandi aspettative della rivoluzione e i suoi fallimenti; la delusione della gente, perché la rivoluzione non aveva prodotto i risultati attesi; i conflitti tra Parlamento e Presidente; l’apertura dei media; le vicende legate alle guerra del gas con la Russia. Ho vissuto tutto questo in presa diretta. A un anno dall’elezione di Yanukovych del 2010, mi sono accorto che il Paese stava sperimentando una pericolosa involuzione democratica come dimostrano la sentenza Tymoshenko, la pressione sulla stampa e le intimidazioni nei confronti dei giornalisti. Nel novembre 2013 con Euromaidan la gente è scesa in piazza e ha combattuto, arrivando in alcuni casi a sacrificare anche la propria vita, per cercare di emancipare l’Ucraina dal regime corrotto e cleptocratico di Yanukovych.

Oggi, a più di due anni di distanza, noto che molti cittadini sono delusi perché il cambiamento politico è ancora molto lento. Indubbiamente la guerra in Donbas complica le cose, ma ritengo che ci vorrebbe un’azione più decisa e risoluta da parte del governo. La classe politica attuale sta facendo troppo poco sul fronte della trasparenza e della lotta alla corruzione. La situazione è molto critica. Il rischio è che il procedere così lento delle riforme finisca per limitare gli aiuti finanziari e il sostegno politico da parte dell’Occidente. Mi rendo conto che non è facile combattere delle pratiche di corruzione che si sono consolidate nel corso di più di 20 anni, ma Euromaidan nasce soprattutto per questo. Naturalmente ho anche notato dei cambiamenti positivi seppure in altri ambiti. Dodici anni fa, per esempio, anche i ristoranti del centro Kyiv non avevano menu in inglese, adesso ce l’hanno quasi tutti. Può sembrare una cosa stupida, ma è importante se vuoi sviluppare il turismo. Anche il livello dei servizi è aumentato notevolmente. Quindi in questo senso c’è stato sicuramente un miglioramento. Le nuove generazioni, soprattutto quelle che parlano inglese, hanno una mentalità diversa, più dinamica che lascia ben sperare per il futuro. La nota più positiva che riscontro oggi in Ucraina, soprattutto nei grandi centri, è l’entusiasmo di tanti giovani che hanno studiato o lavorato all’estero e che guardano con interesse al modello europeo. Questa generazione di ventenni e trentenni, impermeabile alla lumpen cultura sovietica, è l’autentico motore di un nuovo Paese che sta sorgendo, non senza difficoltà, nell’Ucraina del post-Maidan.

UCMC: Che cosa le piace dell’Ucraina e che cosa continua ad affascinarla e ad attirarla qui?

M. Di P.: Dell’Ucraina mi piace l’idea di Paese multiculturale, multietnico. L’Ucraina è un Paese di grande tolleranza, questo è un aspetto che mi preme sottolineare perché sfugge troppo spesso a tanti osservatori. Nel corso dei miei primi viaggi rimasi impressionato moltissimo dai contrasti tra l’architettura sovietica di città come Kharkiv e quella austro-ungarica di Lviv e dalla eterogeneità dei paesaggi. In Ucraina incontri zone di steppa in cui la linea di confine tra cielo e terra finisce per confondersi per l’assenza di rilievi; regioni come la Crimea caratterizzate da una vegetazione rigogliosa che assomiglia a quella italiana della Liguria e se vai nei Carpazi trovi addirittura le montagne! Sicuramente quello che continua ad affascinarmi dell’Ucraina è questa diversità, eterogeneità, sia a livello paesaggistico sia a livello culturale.

Nel mio libro Ucraina terra di confine, uscito nel 2012, ho cercato di mettere in evidenza la poliedricità dell’Ucraina. Esistono eredità culturali polacche, asburgiche, ebraiche, magiare, rumene, tatare, armene, greco-antiche e mitteleuropee. Tutte queste culture hanno saputo dialogare tra di loro all’interno della società ucraina. Il dialogo più difficile non era tra le diverse etnie ma tra coloro che concepivano un’Ucraina europea e un’Ucraina euro-asiatica, o si potrebbe dire, tra la parte democratica della società e quella sovietizzata. Oggi per via della guerra nel Donbas e dell’occupazione della Crimea, anche gli ucraini dell’Est si sono scoperti patrioti e si sono uniti contro l’invasore russo. Le differenze culturali tra Est e Ovest permangono, però l’invasione russa, paradossalmente, ha unito il Paese. Il popolo ucraino, nonostante le diversità, si riconosce in uno stato unitario e indipendente e lotta contro l’occupante.

UCMC: Lei ha viaggiato dappertutto in Ucraina visitando regioni che sono diverse per tradizioni, costumi e stili di vita e che hanno idee anche discordanti su quale direzione imprimere al Paese. Ma allo stesso tempo tutto questo territorio è l’Ucraina, tutte queste persone sono cittadini ucraini. Che cosa secondo lei, a parte la lotta contro l’invasore, unisce questi cittadini in una nazione?

M. Di P.: Cosa può unire un abitante del Donbas con un abitante della Galizia? Sicuramente c’è un grande senso di ospitalità e generosità che è caratteristica comune di tutto il popolo ucraino. Ho trovato persone molto gentili e ospitali sia quando viaggiavo a Kharkiv o in Donbas, sia quando andavo a Lviv o a Chernivtsi. Certamente all’Est la cultura popolare ucraina risente molto di più della sovietizzazione rispetto all’Ovest. Una volta mi trovavo a Novhorod-Siversky, una cittadina vicina al confine russo, ho affittato una stanza in un hotel. Al suo interno ho trovato tanto folklore ucraino però rappresentato in chiave sovietica. C’erano quadri e oggetti che rimandavano un po’ all’idea dell’Ucraina dei libri di Gogol però il tutto era filtrato attraverso l’iconografia e la sensibilità dell’Unione Sovietica. Erano le stesse cose che potevi trovare in Galizia, ma a Leopoli erano già stata depurate dalla simbologia del vecchio regime. Alla fin fine immagini molto simili finivano per assumere una valenza antropologica e culturale diversa. Ma questo accadeva 6-7 anni fa.

Ora la situazione è cambiata per via della guerra. Oggi un forte sentimento patriottico unisce tutto il Paese e anche all’Est la gente sta iniziando a comprendere gli effetti nefasti della russificazione/sovietizzazione. Al contempo a Leopoli, per via anche dei profughi che arrivano dalle regioni orientali, si sente parlare russo più frequentemente di un tempo. E la cosa non sembra scandalizzare nessuno. Il patriottismo e l’amore per l’Ucraina non sono necessariamente legati all’uso dell’idioma ucraino quanto al rifiuto di una società post-totalitaria e al desiderio di vivere in un Paese più giusto e più democratico.

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UCMC: Lei sta scrivendo un altro libro sull’Ucraina, ci può dare qualche anticipazione su questo nuovo lavoro?

M. Di P.: Il libro si chiamerà Abbecedario ucraino. L’ho concepito come una sorta di Ucraina dalla A alla Z, ma non sarà un testo di carattere enciclopedico. L’idea è quella di selezionare alcuni voci per spiegare questioni che non sono note in Italia anche a causa della disinformazione. Sarà un libro che cercherà di raccontare anche gli aspetti più controversi. Accanto a voci abbastanza sintetiche, come i profili biografici di alcuni personaggi storici, troveranno spazio anche lemmi che raccontano luoghi del Paese con lo stile del reportage. Naturalmente non mancheranno voci un po’ più politiche. Lo scopo – come ho già sottolineato – è far conoscere l’Ucraina agli italiani e soprattutto approfondire e puntualizzare quei temi che sono stati distorti dai media filorussi. Penso alla questione della Crimea come “territorio non ucraino”, alla figura controversa di Bandera demonizzata e strumentalizzata dalla propaganda, prima sovietica, oggi russa. Ci saranno anche ritratti di importanti figure del passato la cui eredità culturale è tuttora molto forte come quella dell’etmano Mazepa e del poeta-eroe nazionale Taras Shevchenko. È sicuramente un libro ambizioso anche perché si avvale di diversi registri stilistici: il saggio, il reportage, il ritratto biografico. Il testo dovrebbe uscire nel febbraio-marzo 2017.

UCMC: Anche l’Italia è caratterizzata da profonde diversità regionali. Secondo lei si potrebbe usare l’esperienza e il modello italiano per risolvere il conflitto in Donbas?

M. Di P.: L’Italia è composta da regioni molto diverse tra loro. Oltre a una certa differenza tra Nord e Sud, ci sono regioni, sia settentrionali sia meridionali, che si contraddistinguono per specifiche eredità linguistico-culturali. Per esempio il Trentino Alto-Adige è caratterizzato da una marcata influenza austriaca, la Valle d’Aosta da influenze francesi mentre la Sicilia, in passato, è stata legata al mondo arabo, normanno e spagnolo. Queste tre regioni, assieme a Sardegna e a Friuli Venezia Giulia, sono a statuto speciale ossia godono di particolari forme di autonomia. Esistono similarità con l’Ucraina? Sicuramente, ma penso che il modello italiano non possa essere replicato sic et simpliciter ora in Ucraina. Alcuni politici italiani, che guardano con simpatia a Mosca, hanno proposto per il Donbas il modello dell’autonomia dell’Alto Adige. Secondo me in questo momento non funzionerebbe. L’Austria, nonostante rapporti conflittuali con l’Italia, non ha mai avuto un reale interesse a destabilizzare la regione di Bolzano per creare una Nuova Grande Austria. È vero che negli anni ’60 in Alto Adige ci sono stati episodi di terrorismo e momenti di grande tensione, ma tutto sì è poi risolto per il meglio perché dietro quel conflitto non c’era la politica imperialista di uno stato. Si può dire la stessa cosa della Russia attuale in Donbas e in altre regioni dell’Ucraina dell’Est? Direi proprio di no! Credo dunque che occorra procedere con una certa cautela anche per evitare potenziali effetti domino in aree come Kharkiv o Odessa visto che il progetto enunciato dagli ideologi del Cremlino era appunto quello di smembrare l’Ucraina per costituire la Novorossiya. Penso che in questo momento l’Ucraina debba spingere sul consolidamento dell’unità nazionale nel rispetto, che peraltro già esiste, delle autonomie locali.

E soprattutto sono convinto che la chiave per risolvere certi problemi sia quella economica. Le riforme liberali in Ucraina non sono mai state fatte. Si è perso tanto tempo negli ultimi 20 anni. Un eventuale e auspicabile sviluppo economico dei territori del Donbas non occupati spingerebbe gli abitanti di “LNR” e “DNR” a riflettere sul fatto che a soli dieci chilometri da loro le condizioni di vita sono decisamente migliori. È un po’ come il modello Germania Ovest – Germania Est. Se ti accorgi che dall’altra parte le cose funzionano meglio cominci a domandarti il senso di abitare ancora lì.

UCMC: In base alla sua esperienza e conoscenza dell’Ucraina cosa direbbe ai suoi concittadini italiani per aiutarli a comprendere meglio il nostro Paese?

M. Di P.: Sono tante le cose che potrei e dovrei dire agli italiani. Probabilmente la cosa più importante da sottolineare è che per capire la realtà socio-politica odierna non bisogna dimenticare che l’Ucraina degli ultimi trecento anni, dall’epoca dello zar a quella dei soviet, è stato un Paese colonizzato dalla Russia. Quindi per comprendere questo Paese occorre analizzarlo con gli stessi paradigmi che usiamo quando parliamo di realtà post-coloniali. Se abbiamo in mente i problemi dei paesi postcoloniali, forse riusciamo a capire anche quelli dell’Ucraina. Penso per esempio alle questioni legate a classi dirigenti sempre imposte dal Paese colonizzatore e via dicendo. Se non abbiamo chiara questa idea, non capiamo il perché delle difficoltà incontrate dalle nuove élite nel governare il Paese. Questo approccio è anche essenziale per comprendere le differenze tra l’Ucraina Occidentale e quella Orientale. Dove c’è stato il dominio di imperi più tolleranti, penso all’Impero Asburgico, la cultura e la società si sono sviluppate diversamente: con più dialogo e maggiori aperture democratiche. Francesco Giuseppe parlava polacco, parlava ucraino, sapeva qualche frase in ogni lingua. Gli Asburgo furono addirittura i primi a concepire un’Ucraina parzialmente indipendente, sotto la loro corona ma con molta autonomia. Di questo tema si è occupato un grande storico dell’Europa Orientale, Timothy Snyder, nel saggio Il Principe Rosso. Esaminando la storia dell’URSS ci rendiamo invece conto che l’impossibilità di realizzare il comunismo, palesatasi chiaramente ai tempi di Khrushchev, trasformò ancora di più l’Unione Sovietica in un impero in cui Mosca imponeva il suo volere su tutte le altre repubbliche e in cui la sovietizzazione assunse le forme di una russificazione sempre più spinta. Basti pensare agli anni di Volodymyr Shcherbytsky in Ucraina. Per capire il dramma dell’Ucraina attuale e i suoi conflitti è fondamentale, specie per un neofita, leggere queste dinamiche politico-sociali in ottica post-coloniale.