Nel XXI secolo si nota la tendenza di cancellare la differenza tra lo stato di guerra e di pace. Le guerre ormai non vengono dichiarate e quando iniziano si svolgono non con il solito schema.
L’esperienza di conflitti militari, compresi quelli connessi con le cosiddette rivoluzioni colorate nel Nord Africa e in Medio Oriente, conferma che uno Stato prospero nel giro di pochi mesi o addirittura giorni può trasformarsi in una lotta armata amara, diventare una vittima di intervento straniero, immergersi nel caos, nel disastro umanitario e guerra civile.
Le stesse “regole della guerra” sono cambiate in modo sostanziale. È cresciuto il ruolo dei metodi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici, che in alcuni casi per la loro efficacia hanno notevolmente superato la forza delle armi.
In Nord Africa, abbiamo assistito alla realizzazione delle tecnologie di influenza sulle agenzie governative e il pubblico attraverso le reti informative

Estratto dall’edizione numero 8 (476) del 27 febbraio 2013, Valeriy Gerasimov, Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze armate russe.

E’ importante ogni tanto ricordare la cosiddetta “dottrina Gerasimov” in quanto è lo strumento culturale per comprendere gli eventi degli ultimi anni. La Russia trovandosi in una grave crisi economica con una liquidità limitata ed impegnata in due fronti di guerra (Siria e Ucraina) ha deciso da anni di puntare sulla destabilizzazione degli altri Stati utilizzando la “guerra informativa“.

Tale conclusione scaturisce da un semplice raffronto economico ad esempio con una paese come l’Italia. La Russia ha lo stesso PIL dell’Italia ma ha 160 milioni di abitanti contro i nostri 60 ed una estensione territoriale 60 volte quella dell’Italia. L’Italia ha un esercito di 120.000 uomini mentre la Russia quasi un milione. Ben conoscendo le difficoltà economiche del nostro paese si comprendono le motivazioni per cui la Russia non si stia impegnando in una guerra classica in Europa per raggiungere gli obiettivi di espansione ad Ovest più volte sottolineati da Aleksandr Dugin, l’oscuro rasputin putiniano, come necessari per la stessa sopravvivenza dell’impero russo.

La dottrina Gerasimov suggerisce che si può ottenere il risultato di controllare un’altro Stato destabilizzandolo prima e influendo poi sull’elezione, facendo eleggere politici di partiti “amici” facilmente manovrabili quando non proprio imposti dal Cremlino come nel caso di Manlio Di Stefano al Ministero degli affari Esteri. In tale ottica vanno letti e interpretati gli accordi sottoscritti a Mosca dalla Lega Nord e M5S con il partito di Putin Russia Unita.

Un tank costa circa dieci milioni di euro, con gli stessi soldi si possono oggigiorno controllare diversi giornalisti, finanziare fondazioni, organizzare conferenze e gestire un piccolo esercito di Troll utili per la diffusione della disinformazione. Su internet si trovano società che per 400.000 euro possono creare disordini in una città con annessa una troupe che filma il tutto e usa il materiale per creare disinformazione.

Si rischia di cadere nel complottismo ma analizzando il flusso informativo che scorre in rete e verificandone le sue fonti alcune cose si possono dire. Non è un caso nella Brexit è emersa la mano del Cremlino nella gestione delle Fakenews durante la campagna elettorale, negli USA si sta sviluppando l’indagine sul cosiddetto “RussiaGate“, in Francia vi è stato il supporto finanziario a Marine Le Pen, in Germania al partito neonazista AFD così come in Olanda e nelle presidenziali austriache. In questi giorni abbiamo visto tutti quanti che gran parte dei tweet a sostegno del referendum indipendentista catalano provenivano dalla Russia mentre dell’accordo con Lega e M5S ne abbiamo già parlato.

Catalogna

Queste sono evidenze oggettive sulle quali l’intellighenzia si dovrebbe domandare quale sia l’interesse della Russia, che come abbiamo visto non naviga nell’oro, ad investire così cospicue somme a supporto di situazioni che solo apparentemente non gli portano vantaggi diretti.

Nonostante da anni vengano lanciati questi allarmi, il mondo politico e culturale sembra snobbarli facendo finta di non vedere che siamo nel pieno di una guerra ibrida, proprio quella teorizzata da Gerasimov.

La questione catalana apre degli scenari inquietanti, di una portata notevolmente superiore agli effetti della Brexit. Innanzitutto va sottolineato che se passa il principio che le regioni più ricche di altre possano dichiarare l’indipendenza ci troveremo di fronte ad una balcanizzazione dell’Europa e l’Italia sarà il prossimo test di questa guerra ibrida con Lombardia e Veneto. E’ facile prevedere che dopo il referendum di ottobre Zaia e Maroni potranno cavalcare l’onda e chiedere di percorrere lo stesso percorso della Catalogna.

Dopo la Catalogna il Veneto

L’Europa per questo non potrà riconoscere l’indipendenza della Catalogna e si creerà un vulnus con una pericolosa situazione di stallo istituzionale che vedrà Madrid e Barcellona impegnate in una lunga partita a scacchi.

L’informazione che circolava in questi giorni in Italia sul referendum catalano era di tipo basico e come spesso accade puntava alla pancia della gente evitando di porre delle questioni sulle quali la popolazione potesse sviluppare dei ragionamenti. Tutti a sostenere il referendum ma pochi che si ponevano la domanda di chi dovrà pagare il debito pubblico della Catalogna (80 miliardi), di che fine faranno le aziende spagnole presenti sul territorio della regione, di che moneta dovranno adottare, quale svalutazione questa moneta dovrà affrontare, di che esercito si doteranno, quale tipo di frontiera adotteranno, etc. etc. Tutti a dire che non cambierà nulla perchè la Catalogna rimarrà in Europa con l’Euro, ma nessuno che si è letto i trattati i quali prevedono che in questo caso si dovrà procedere alla domanda di ammissione che deve essere accettata da tutti i membri. E’ ovvio che Madrid non darà mai il suo consenso e comunque anche se trovassero un accordo ci vorranno degli anni.

La Catalogna è uno splendido esempio di come disinformazione mixata con populismo può produrre danni colossali a comunità, le quali magari sono anche in buona fede e con le loro buone ragioni. Gia’ ad ottobre 2014 (articolo di politikus.ru) vi erano contatti tra gli indipendentisti catalani e la cosiddetta “Repubblica di Donetsk”.

Appuntatevi i nomi di chi oggi supporta l’indipendenza catalana e confrontate le loro posizioni quando la stessa cosa accadrà in Italia e qualcuno metterà in discussione l’art 5 della nostra Costituzione. Le sorprese non mancheranno. Abbiamo un solo modo per continuare a prosperare e vivere in pace all’interno delle democrazie, quello di rispettare le Costituzioni e procedere più speditamente verso gli Stati Uniti d’Europa.

Mauro Voerzio