Leggendo uno dei tanti sproloqui Giulietto Chiesa, che ironia della sorte si trovava a Donetsk proprio mentre io mi trovavo ad Avdiivka e ci dividevano solo pochi km, mi ha dato lo spunto per scrivere questa riflessione.

Ad Avdiivka ci ero già stato diverse volte ma perlopiù di passaggio senza avere l’occasione di soffermarmi nelle vie, entrare nei negozi o passeggiare nei mercati. Se devo essere sincero anche io ero influenzato dallo stereotipo della città fantasma posta sulla linea del fronte, con le vie deserte e la gente spaventata dentro gli shelter.

Avdiivka è una cittadina di 25.000 abitanti con una grande industria chimica che dà lavoro alla maggioranza degli abitanti. La parte sud di Avdiivka è la cosiddetta “promzona”, la zona industriale dove si combatte casa per casa. E’ una posizione strategica che i russi vorrebbero conquistare per avere il controllo dell’importante arteria stradale che transita proprio in quel punto.

Ad Avdiivka si sentono distintamente i colpi di mortaio in arrivo e partenza così come il crepitio delle armi automatiche. Solo nel mese di settembre sono arrivati prima un colpo di artiglieria nel centro abitato e poi un proiettile di mortaio da 122. Una situazione che prefigurerebbe una situazione di terrore centralizzato.

Invece no, addirittura ho provato la sensazione opposta, quasi di fastidio nel vedere che la gente vive quasi normalmente. La sera i ristoranti lavorano e se non sono proprio pieni non sono neanche deserti, i mercati la mattina sono vivaci e pieni di gente, nei parchi (ottimamente mantenuti) tante mamme passeggiano con i loro bimbi.

Una sera intorno le 23, il rumore delle esplosioni e delle armi era molto forte ed insieme ad un mio amico giornalista abbiamo deciso di incamminarci verso la Promzona. Siamo passati di fronte ad un ristorante club ed abbiamo notato molti giovani all’esterno che bevevano ed ascoltavano musica da discoteca. Un’immagine di forte contrasto, a meno di un km la gente combatteva e moriva mentre li si consumava birra e si fumavano sigarette.

Il giorno seguente sono andato alla scuola numero sette di Avdiivka, era il giorno in cui gli alunni hanno preparato le recite per la festa dei loro insegnanti. La scuola è molto ben tenuta, l’erba del giardino ben tagliata, all’interno estrema pulizia e strutture ammodernate. Ci accoglie la direttrice sorpresa di vedere dei giornalisti italiani e ci racconta come la scuola è organizzata. Ci fa visitare le varie aule, la palestra e i luoghi che usano come shelter nel caso i combattimenti si avvicinino troppo alla scuola. I vetri delle aule rivolte verso la promzona sono oscurati da assi di legno che dovrebbero avere il compito di trattenere eventuali schegge in caso di esplosione. Gli chiedo come stanno vivendo la situazione i bambini e mi viene risposto che gli insegnanti cercano proprio “lasciar fuori” la guerra, si cerca di mantenere una condizione di normalità in una situazione che normale non è. Mi mostrano i diari dei bambini al cui interno ognuno ha una cartina con disegnata la strada più breve e più sicura per tornare a casa insieme ad un opuscolo dove sono riportati tutti i pericoli rappresentati da ordigni inesplosi che potrebbero trovare per strada.

Gli chiedo anche se nella scuola viene insegnato, come succede nella cosiddetta DNR, a maneggiare le armi. La direttrice con occhi stralunati mi chiede se sto scherzando e poi aggiunge che loro sono degli insegnanti, non dei barbari. Riferisce anche che l’unica presenza di persone in uniforme militare nella scuola è quando vengono a spiegare ai bambini come riconoscere eventuali ordigni e come evitarne sempre il maneggio anche per gioco. Come un gioco si svolgono anche le esercitazioni per l’evacuazione della scuola o per raggiungere gli shelter predisposti.

Poi usciamo nel cortile della scuola e da li si sentono chiaramente gli scambi di armi automatiche dei combattimenti che non distano più di 500 metri.

Rientriamo e ci concediamo una splendida ora di spettacoli preparati dai bambini per i loro insegnanti. In tutto quel tempo la guerra è lontana anni luce e la spontaneità di quei bambini vestiti a festa ti riempe   il cuore.

Sono le 12, ci salutiamo dopo le foto di rito con la promessa di rivederci presto.

Tornando verso la base in cui eravamo ospitati visitiamo altre due scuole che erano state chiuse in quanto bombardate dai separatisti alcuni mesi fa. Ora sono state completamente ristrutturate, gli infissi nuovi, pavimenti nuovi e tanti tanti bambini che corrono felici.

Ciò che colpisce anche ad Avdiivka sono i numerosi cantieri stradali che stanno rifacendo marciapiedi, strade e sostituendo vecchie panchine nei parchi. La mattina si vedono simpatiche babuske nei parchi che combattono la loro battaglia con le foglie secche utilizzando una vecchia ramazza.

Nei negozi spesso capita di essere avvicinati da persone curiose che ti chiedono da dove vieni e perché sei li, e tra loro anche gli immancabili uomini di mezza età che ti chiedono di offrirgli da bere.

La settimana ad Avdiivka mi ha insegnato come lo spirito umano riesca ad adattarsi a tutte le situazioni sino a farle apparire quasi normali e di come l’innocenza dei bambini sia contagiosa, una innocenza che deve sempre essere sacra e mai dovrebbe essere violata come purtroppo succede a pochi kilometri dove invece vengono indottrinati nell’uso delle armi.

Dall’articolo di Giulietto Chiesa ho imparato che lui dorme a Donetsk negli Hotel cinque stelle e si fa accompagnare in “tour turistici” dal funzionario locale. Ho capito che da quella parte non se la passano troppo bene in una Donestk deserta a confronto di una vivace Avdiivka nonostante la cittadina Ucraina sia uno dei punti più caldi di tutto il fronte

Dalle sue parole emerge questo forte contrasto (sempre che scriva cose vere), una zona occupata che vive nel grigiore e nella paura mentre a pochi kilometri un’Ucraina che nonostante tutto sta rifiorendo.

Caro Giulietto, qui nessuno sente la nostalgia dell’epoca sovietica, nessuno sente il bisogno di insegnare ai bambini come usare un AK47, si può passeggiare tranquillamente per strada senza essere accompagnati dal funzionario di turno. Ti dirò di più, la voglia che era presente nei soldati due anni fa di riconquistare Donetsk sta man mano venendo meno nella consapevolezza che si tratta oramai di due mondi completamente differenti, di due visioni di futuro che vanno in direzioni diametralmente opposte. Qui le scuole non ospitano mezzi militari ma bambini che giocano, le farmacie hanno ogni tipo di medicina ed i negozi qualsiasi tipo di cibo. Non è certo il Paradiso ma lo potrà diventare il giorno che i tuoi amici decideranno di starsene a Donetsk e torneranno a fare un lavoro normale che non preveda di sparare dietro compenso.

Se posso darti un consiglio forse dovresti lasciar perdere gli Hotel a 5 stelle e magari dormire nelle trincee con i soldati, mangiare con loro e vivere in mezzo alle persone normali, forse capiresti finalmente qualcosa di questa complicata situazione ma probabilmente un’analisi lucida di quanto accade è l’ultima cosa che ti viene chiesto di fare.