Chi ci scherza sopra, chi spara fango e chi propone leggi e inchieste parlamentari: sulla disinformazione è lotta di fake news

Qualsiasi tema serio che la politica italiana tocca diventa ridicolo. Succede sempre così.

Guardate come viene affrontata la vicenda della cyberpropaganda.

Ognuna delle parti in causa tira l’acqua al proprio mulino e non ha la minima intenzione di proporre ricette e soluzioni.

Proviamo a fare ordine.

Matteo Renzi ha centrato il punto — in Italia c’è un problema di black propaganda come nel resto del mondo — ma lo ha affrontato da politico, non da statista, e con un pizzico di risentimento personale. Ha parlato di una commissione parlamentare d’inchiesta — da aprirsi dopo le elezioni — di un report a cadenza quindicinale per smascherare le fake news e qualcuno del suo partito ha pure fatto riferimento a nuove leggi.

Secondo lui serve “l’istituzione di una Commissione d’inchiesta parlamentare, con i poteri della magistratura, sulle operazioni di disinformazione, meglio chiamarle così piuttosto che fake news, perché in Italia è accaduto qualcosa di organizzato, e ci andremo a fondo, chiamando testimoni, guardando i dati, interrogando le persone in una commissione.Vedremo le centrali.”

Se così fosse il cittadino Renzi dovrebbe andare da un magistrato e fornire tutti gli elementi di prova di cui dispone. Se è convinto che ci sia una centrale, e che verosimilmente questa dispiegherà la sua forza nella imminente campagna elettorale, ha l’obbligo di denunciarla prima, non dopo.

Nessuna commissione parlamentare d’inchiesta ha mai scoperto granché in Italia, perché questa dovrebbe funzionare?

Nella sua veste di politico Renzi dovrebbe chiedere piuttosto a Gentiloni di seguire le orme dei suoi colleghi Rajoy, May e Merkel che sulla base delle investigazioni degli apparati di sicurezza hanno denunciato le intromissioni della cyberpropaganda russa in occasioni di importanti referendum o elezioni. Perché non lo fa? Davvero qualcuno crede che i nostri servizi pettinano le bambole e che nulla sappiano?

Un ministro come Minniti, molto attento ai report dei servizi, davvero non sa nulla di quello che gli analisti dell’Aisi — il servizio segreto civile — vedono ogni giorno sul web?

Dire che ogni quindici giorni il Pd presenterà un report è agire da capopartito non da uomo di governo e per di più significa togliere validità a qualsiasi possibile utile rivelazione che verrà bollata come di parte. Peggio ancora minacciare una legge: mica siamo nella Russia di Putin dove il web è controllato, monitorato e la libertà di parola può costare cara!

La Rete, non dimentichiamolo, è uno strumento neutro: lo puoi usare per fare il bene o per causare un danno. Nessuna legge vieta il coltello o la macchina, ma l’uso criminale che eventualmente se ne fa.

“La credulità popolare non si combatte per legge e il senso critico non si impone”, scrive Phastidio.net in questo chiarissimo articolo di Vitalba Azzollini.

Dall’altra parte va detto che si naviga a vista e si sfiora pure il ridicolo. I social grillini e il loro network sui media mainstream hanno dato prova del tipico cialtronismo provinciale italiano. L’hashtag con il quale si sono bollati fatti, inchieste e analisi la dice lunga su quale sia la potenza neuronale di certa rete: #hastatoPutin e va tutto bene, problema risolto. Altri cantori della libertà di stampa (quando pare a loro) hanno massacrato l’analista Andrea Stroppa incollandogli addosso l’etichetta di “renziano”, con relativo shitstorm in rete, per non affrontare le sue ricerche e conclusioni. È giornalismo questo?

Se da una parte quindi vediamo una politicizzazione interessata sull’argomento, dall’altra c’è una miserevole e miope banalizzazione di un problema che invece riguarda tutti.

Come ha ammesso Facebook in un suo report, ci sono sulle piattaforme social“azioni intraprese da attori organizzati (governi o soggetti non-statali) per distorcere il sentimento politico interno [a una nazione, ndr] o esterno [in una nazione straniera, ndr], soprattutto per raggiungere un obiettivo strategico e/o geopolitico”. Tali operazioni “includono una combinazione di metodi, quali notizie false, disinformazione, reti di profili finti, diretti a manipolare l’opinione pubblica”.

Ha ragione chi, come Fabio Chiusi, afferma che non c’è modo di calcolare quanto pesino sulle scelte e sul sentimento popolare certe operazioni informative condotte in rete. Chi dice che il referendum del 4 dicembre l’ha perso Renzi a causa di chissà quale spectre semplicemente vaneggia così come le elezioni americane non sono state decise da qualche centinaio di migliaia di dollari di propaganda russa a fronte di miliardi di euro investiti dai comitati elettorali dei due candidati. Ma le operazioni di disinformazia del Cremlino sono state provate in questi ultimi anni da decine di inchieste che hanno portato fatti e prove. Scherzarci su è da idioti o da utili idioti. E invece su un tema serio ci si divide come al solito tra Guelfi e Ghibellini.

“La disinformazione funziona perché siamo scemi”, non perché sono bravi i russi scrive Daniele Raineri sul Foglio.

Forse bisogna partire da qui.

Fonte : Nicola Biondo