Fonte Jacopo Jaboni de La Stampa

È il primo, sbalorditivo e modernissimo atto politico del neopresidente francese. Emmanuel Macron, accanto a Vladimir Putin, affronta di petto la questione dell’«interferenza» della Russia nelle democrazie – in questo caso in Francia – lasciando capire che non sarà tollerata, dalla Francia e in un certo senso dall’Europa che Macron ha in mente. Il presidente ha spiegato a Putin che i giornalisti di RT e Sputnik non sono stati i benvenuti alle sue iniziative e al suo comitato per la semplicissima ragione che «non si tratta di organi di stampa, e quello non è giornalismo. Da parte di Russia Today e Sputnik, che non sono dei media ma degli strumenti di interferenza, c’è stata un’ingerenza grave durante il processo elettorale di un paese democratico». Macron ha parlato di «controverità» (attenzione: non «fake news»: il termine «controverità» fa riferimento a «information operations», qualcosa che ha a che fare con il lavoro di apparati d’intelligence ostili, o deviati, e non c’entra niente con le mere «notizie false», o le «bufale») diffuse scientemente dagli outlet finanziati dal Cremlino, e chiarito: «Ho sempre avuto relazioni esemplari con i giornalisti stranieri a patto che siano dei giornalisti. Russia Today e Sputnik sono stati organi di propaganda che hanno diffuso controverità infamanti sulla mia persona. Su questo non mollerò di un centimetro». È chiaro che questo accenno biografico è solo la punta di un iceberg di una vicenda molto più grave, una cyber-operation grave, pianificata e condotta probabilmente dal Cremlino, e comunque quasi sicuramente da Mosca, con armi che vanno dall’hackeraggio, ai leaks amici, all’influenza attraverso network di propaganda. Accanto a Macron, Putin sospirava, o storceva lievemente il naso, con una smorfia accennata ma un fastidio abbastanza visibile.

La nuova Francia del trentanovenne (allora aspirante) presidente s’era già fatta trovare preparata nel sabato pre-elettorale, quando i leaks delle mail hackerate (fin da marzo) al comitato Macron, da parte di un gruppo di hacker molto probabilmente legato al Gru (il servizio segreto militare di Mosca), sono stati diffusi e amplificati da due nodi centrali su twitter: gli account ingegnerizzati nella rete della alt-right americana pro Trump (da Jack Posobiec ad altri) e l’account twitter di Wikileaks. La risposta era stata molto intelligente: il campo Macron aveva attuato qualcosa come una controguerriglia cibernetica che La Stampa ha potuto raccontare grazie a una fonte esclusiva (in Francia nel week end elettorale i media scelsero all’unisono di non trattare l’argomento, per non diffondere eventuali falsi). Abbiamo piantato falsi codici, e false informazioni, nelle mail sotto attacco, dissero a Parigi.

Colpendo RT e Sputnik, Macron colpisce oggi, ovviamente, la parte superficiale, ma per nulla inoffensiva, di una struttura a tre livelli: quella che riguarda la produzione di contenuti (gray propaganda) che poi vengono viralizzati nei social network (Facebook, soprattutto), con specificità nazionali. Anche l’Italia ha conosciuto qualcosa di molto simile, durante la premiership di Matteo Renzi, nella campagna per il referendum costituzionale. Ma la protesta italiana contro RT e Sputnik seguì, allora, modi più felpati e da «doppio binario», i modi ineffettuali della nostra tradizionale Realpolitik russa.