Fonte : Anna Zafesova La Stampa

Gli zelanti patrioti che Vladimir ammira ma dice di non guidare

Prima c’erano gli «omini verdi» in Crimea, poi i «militari in vacanza» nel Donbass, ora gli «hacker patriottici» che si inseriscono nella campagna elettorale americana perché «quella mattina si sono svegliati così». Il mondo di Vladimir Putin è pieno di assistenti volenterosi, che lui non è in grado di controllare nemmeno quando eccedono nel loro zelo. La tecnica utilizzata dal presidente per ammettere un possibile coinvolgimento russo nelle guerre virtuali intorno alle elezioni Usa è collaudata: innanzitutto non è vero («non lo facciamo come Stato»), potrebbe essere un fake – «chiunque può inserire una chiavetta con un nome russo, nel mondo virtuale tutto è possibile» – però gli hacker, in qualità di privati cittadini, potrebbero aver agito in autonomia «contro chi parla male della Russia».

Se in Crimea fu poi lo stesso Putin ad ammettere che i «militari senza insegne» erano russi, sul Donbass la posizione ufficiale resta quella di «volontari» che combattevano nel tempo libero, inclusi i generali, andati «in vacanza» insieme a decine di carri armati. Ma già sugli «hacker patriottici» la vicenda si fa meno esplicita. La famigerata «fabbrica dei troll» in via Savushkin 55 a Pietroburgo, che assumeva polemisti social prezzolati, ciascuno con una decina di account falsi su Facebook e Twitter e un minimo contrattuale di post con argomenti predefiniti, apparteneva alla srl «Internet-ricerche», riconducibile a Evgheny Prigozhin, il «cuoco di Putin». Il 56enne ristoratore pietroburghese servì nel 2001 a Putin e Jacques Chirac una cena particolarmente gradita, e oggi la sua Konkord Catering si aggiudica appalti miliardari per i banchetti del Cremlino e le mense del ministero della Difesa.

Il gruppo Wagner  

A Prigozhin è legato un minigiallo delle ultime ore, dopo che il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha annunciato che oggi «il presidente festeggerà il compleanno del suo cuoco» e, in una circostanza senza precedenti, è stato smentito dall’ufficio stampa che dirige. Che Putin si presenti o meno alla festa, Prigozhin – sotto sanzioni del governo Usa – resta un personaggio misterioso, che sfreccia per Pietroburgo con un corteo con lampeggianti e targhe «speciali», e la sua scorta accompagna spesso anche il misterioso tenente colonello Dmitry Utkin. L’ufficiale, nome in codice «Wagner», è un altro dei «privati volenterosi»: a lui, secondo alcuni media russi, farebbe capo la società di contractor detta «gruppo Wagner», che manda mercenari in Siria. La base di addestramento dei «wagneriani» è finanziata dal ministero della Difesa e rifornita dalla holding di Prigozhin (che oltre al catering si occupa anche di media).

Il banchiere ortodosso  

È un tipico esempio dei confini invisibili tra governo e «patrioti» privati. Come Konstantin Malofeev, il «banchiere ortodosso» che importa regolarmente a Mosca venerate reliquie di santi dal monte Athos. Durante la crisi ucraina aveva inondato il Cremlino di memorandum sulla necessità di annettere la Crimea, e molti russi arrivati nel Donbass a guidare i separatisti erano suoi dipendenti, incluso il famigerato Igor Strelkov, che comandava i ribelli durante l’abbattimento del Boeing malese nel luglio 2014. Anche lui è sotto sanzioni dell’Unione europea, con l’accusa di aver finanziato e armato le milizie separatiste, cosa che non gli impedisce di avere progetti politici e imprenditoriali in Francia, insieme all’euroscettico Philippe de Villiers. Finanzia anche iniziative di Alexandr Dughin, il teoretico di «geopolitica» legato ai conservatori americani come ai seguaci di Le Pen e alla cerchia di Nigel Farage, ex consigliere di Putin, e presidente onorario di varie associazioni filorusse europee, che in Italia hanno come principali partner gli esponenti della Lega.

I legami con Lega e M5S  

Dove finisce il privato e comincia lo Stato russo in questi casi è difficile dirlo, come è difficile stabilirlo in Russia, dove i soldi si fanno con il potere e il potere si cerca per fare soldi. Putin potrebbe dire «lo Stato sono io», nel senso che la lotta politica spesso si svolge non tra governo e opposizione, ma tra vari settori di un «Putin collettivo». È da frange di quel mondo che nascono iniziative come il congresso dei neonazisti europei tenutosi qualche anno fa a Pietroburgo, o gli inviti al dialogo che arrivano da alcuni deputati di Russia Unita a leghisti e grillini, o le squadre di hacker e i contratti offerti dalla Rt, la «Cnn del Cremlino», a conservatori americani della cerchia di Trump. A volte agiscono per indicazione del Cremlino, a volte scattano di loro iniziativa, per sorpassare Putin a destra e strapparlo all’influenza dei ministri e oligarchi più moderati.