Brutto giorno per tutti coloro che si occupano di informazione, a Kiev una bomba piazzata sotto la macchina del famoso giornalista Pavel Sheremet è esplosa questa mattina alle 07:45 uccidendo il giornalista Bielorusso che lavorava in Ucraina.

Sheremet era di origini Bielorusse, nato nel 1971, nel 1997 aveva conosciuto il carcere in Bielorussia, imprigionato dallo stesso Governo per la sua attività informativa contro gli abusi del Governo.

Aveva ricevuto anche riconoscimenti internazionali tra i quali “International Press Freedom”

Da cinque anni lavorava alla Ukrainska Pravda in qualità di giornalista investigativo ed era anche un consulente del Ministero degli Interni ucraino, dopo aver svolto attività giornalistica anche in Russia.

Georgiy Gongadze, fondatore del giornale in cui lavorava Sheremet, fu ucciso sedici anni fa, trovato decapitato in un bosco vicino la capitale. Quell’uccisione fu una delle scintille dello scoppio della rivoluzione arancione.

Si tratta dell’ennesimo assassinio di un giornalista che va ad allungare la lunga e triste lista dei giornalisti uccisi in Russia o all’estero, colpevoli di portare alla luce le incongruenze di un sistema dittatoriale mascherato da democrazia (come non ricordare la più famosa Anna Politovskaya)

Russia Today, il media controllato dal Cremlino non si è fatta sfuggire l’occasione di effettuare una nuova operazione di propaganda e mistificazione della verità, puntando il dito contro il potere di Kiev che avrebbe reso impossibile lavorare per i giornalisti ed ha cambiato nazionalità al giornalista ucciso riportando che era un giornalista “russo”

sheremet

Sembra incredibile che la Russia gridi alla mancanza di libertà di stampa quando probabilmente i mandanti di questo omicidio arrivano proprio da li, ma in un’epoca dal sapore Orwelliano tutto è lecito, anche ribaltare la verità che per chi non conosce la realtà diventa verità assoluta e dogmatica.

Sheremet era stato uno dei principali critici verso i suoi colleghi russi per quanto sostenevano nei loro articoli durante la rivoluzione del Maidan, rimarcando più volte che quanto veniva esposto in Russia non era la descrizione dei fatti reali ma pura propaganda. Era una specie di Pasdaran della libertà dell’espressione.