Si è svolta Presso il tribunale di Pavia in Corte d’Assise la seconda udienza per il processo che vede imputato Vitaly Markiv per la morte del fotoreporter Andy  Rocchelli avvenuta nel 2014 a Slaviansk agli inizi della guerra tra Ucraina e Russia. Ma partiamo dalla fine quando purtroppo un gruppo di ucraini, venuti ad assistere al processo, è stato fatto oggetto di pesanti insulti a sfondo razziale proprio all’esterno dal Tribunale, tra di loro era presente anche il Console di Ucraina. Tutto è stato videoripreso oltre che dalle TV presenti anche dagli agenti della Digos. Va notato che per questa seconda udienza c’era una massiccia presenza di forze dell’ordine, sia in borghese che in divisa, una presenza anomala considerata la natura pacifica da sempre dimostrata dalla comunità ucraina e molto maggiore rispetto la prima udienza. E’ invece presumibile, alla luce di quanto accaduto, che avessero avuto sentore che sarebbe potuta accadere qualche provocazione da parte di soggetti italiani.

Gli ucraini all’esterno del Tribunale, dopo aver parlavo con l’avvocato Della Valle, stavano posando per una foto  (con il permesso delle forze dell’ordine) esponendo un cartello con la scritte #LibertàperMarkiv. A fotografarli vi erano dei giornalisti e delle televisioni che li riprendevano. Il tutto è durato meno di un minuto. Nel contempo da un gruppo di ragazzi nelle vicinanze, che aveva presenziato al processo, si sono levate urla e invettive a sfondo razzista. “tornate a casa vostra, dovreste vergognarvi di stare qui, fate schifo, non potete girare in Italia con la bandiera militare, siete ospiti, ringraziate che vi facciamo stare nella nostra città senza cacciarvi, vorremmo vedere se fossimo al vostro paese, siete solo dei pagliacci“ed altre amenità simili, degne del repertorio del miglior razzista. Quasi tutti hanno compreso che si trattava di una provocazione anche xché messa in scena a favore di una telecamera di Russia24. Quando il sottoscritto è intervenuto per allontanare due donne ucraine che si erano fatte irretire nella discussione, uno dei provocatori ha pensato bene di metterla sul personale urlando una velata minaccia “Voerzio fai attenzione, sappiamo chi sei, ti leggiamo, sei uno xenofobo“. A questo punto interveniva la Digos invitandoci a non replicare in quanto a loro dire conoscevano il soggetto per essere un provocatore.

E’ sempre più chiaro che nell’accusa serpeggia un certo nervosismo e che la tranquillità dell’avvocato Della Valle, forte di elementi processuali inattaccabili, sta probabilmente facendo sorgere l’idea a qualcuno di buttarla in caciara per metterla su un piano differente rispetto quello puramente processuale. Bene ha fatto la comunità ucraina a non cadere in questo tranello e i fatti di oggi dovranno essere di lezione per le prossime udienze dove il livello di aggressione (speriamo sempre solo verbale) salirà ulteriormente.

Il gruppetto di provocatori indossavano quasi tutti una spilla raffigurante una macchina fotografica, non è dato sapere se appartenessero a qualche formazione politica ne se la provocazione fosse stata programmata per fornire materiale alla TV russa.. Una gazzarra indegna ancor più se si pensa che sia i genitori di Vitaly Markiv che quelli di Andy Rocchelli hanno sempre tenuto un comportamento irreprensibile e lontano da qualsiasi asperità anche solo verbale (ndr: dispiace vedere i genitori di Rocchelli attorniati anche da persone che in realtà non vogliono conoscere chi ha realmente ucciso suo figlio). Purtroppo non sorprende oggi in Italia dover commentare fatti simili, sempre più frequenti e perfettamente in linea con la vulgata attuale dove ogni straniero è nemico.

Il processo invece ha fatto registrare una battuta d’arresto in quanto l’accusa e le parti civili hanno sbagliato nel notificare gli atti al Ministero della Giustizia ucraino chiamato in causa in sede civile x eventuali risarcimenti. Infatti il Ministero della Giustizia ucraino ha fatto presente che le notifiche devono essere fatte in base alla Convenzione relativa alla notifica di atti giudiziari e extra giudiziari in materia civile e commerciale (Aja, 1965) e non come in parte sostenuto dal Pubblico Ministero in base ad una convenzione degli anni settanta firmata dall’Italia con l’ex Unione Sovietica (ndr: in Italia culturalmente l’URSS non è mai terminata)

Anche al giudice è parso subito chiaro che non era possibile applicare quella convenzione in quanto nel frattempo l’Unione Sovietica non esisteva più. Il difensore di Markiv, Raffaele Della Valle, nel suo intervento ha detto che avrebbe voluto incominciare subito questo processo anche per evitare ulteriore tempo in carcere per il suo assistito, ma che era ben conscio che tale errore di notifica avrebbe potuto condizionare la regolarità finale del processo stesso. Uno degli avvocati di parte civile che rappresenta la Federazione Giornalisti, Pisapia, ha provato a metterci una pezza proponendo una soluzione che salvasse capra e cavoli, ma dopo circa un’ora di consiglio la Corte ha dovuto prendere atto che non era possibile continuare e che si sarebbe dovuto procedere nuovamente alle notifiche del caso questa volta fatte secondo legge. Il giudice ha chiesto ripetutamente all’accusa e alle parti civili se nel termine di sessanta giorni saranno in grado di fare le notifiche in maniera corretta e dopo qualche titubanza questi hanno risposto di si. La prima udienza quindi si terrà il 23 novembre allungando di altri due mesi il periodo di detenzione di Markiv per un mero errore procedurale. Forse potrà apparire un’inezia, ma due mesi di carcere in più, in attesa di giudizio, perché qualcuno non conosce la normativa sulle notifiche non è una cosa da paese evoluto.

Un paio di considerazioni a latere riguardano il corollario del Processo. Le Forze dell’Ordine hanno chiesto a tutti di entrare in aula con i telefoni spenti pena l’espulsione dall’aula, scelta del tutto condivisibile. In aula, subito al mattino, c’erano state le prime avvisaglie di provocazioni proprio da parte di coloro che avrebbero poi dato vita allo squallido show all’esterno del Tribunale utilizzando scuse futili, come una presunta spinta subita da uno degli uditori, per arrivare allo scontro. E’ stato chiaro sin da subito che qualcuno avrebbe provocato la più che educata comunità ucraina presente. L’ingresso di Vitaly in aula è stato leggermente irrituale rispetto quanto previsto dal protocollo (l’imputato si deve presentare libero in aula) smanettato proprio davanti al giudice. Nota positiva invece la richiesta del giudice di far osservare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime di Genova di cui oggi ricorre un mese esatto dalla tragedia.

Ci vediamo il 23 novembre a Pavia, nonostante le velate minacce noi come sempre ci saremo e speriamo finalmente di raccontare il dibattimento vero e proprio.