Alcune precisazioni sulla questione del momento, le sanzioni verso la Russia, oggetto principale del viaggio di due giorni fa a Mosca del ministro italiano Matteo Salvini. Ho ascoltato integralmente il suo intervento in Russia e la successiva conferenza stampa, ma vediamo prima le questioni di fondo.

Cosa sono le «sanzioni» – Le sanzioni sono l’alternativa alla guerra. Quando un Paese violava il diritto internazionale, ad esempio aggrediva un altro Stato, il diritto tradizionale prevedeva due possibilità: si accettava che lo Stato aggressore incorporasse lo Stato aggredito, dando così ragione al più forte. Oppure si dava una risposta armata, che è ammessa ancora oggi, ma come forma di autodifesa e a condizioni precise. Nel diritto internazionale moderno, codificato dopo le due Guerre mondiali con l’intento di evitarne una terza, alle violazioni si risponde prioritariamente con sanzioni economiche o personali, che tendono a isolare lo Stato colpevole e indurlo a rientrare nella legalità. In particolare, se uno Stato conquista militarmente territorio di un altro Stato, l’obiettivo è ripristinare i confini precedenti l’aggressione. La forza non è più ammessa: chi, nonostante il divieto dell’ONU, la usa, non deve raggiungere i suoi obiettivi.

Perché le sanzioni alla Russia – Nel 2014 la Russia ha occupato militarmente la Crimea, che è territorio ucraino. Dallo stesso anno sostiene fattivamente i separatisti che hanno autoproclamato due Stati-fantoccio nella regione ucraina del Donbass. «Stato-fantoccio» non è un modo di dire: è un concetto del diritto internazionale che indica Stati «di facciata» totalmente controllati da un altro (in questo caso dalla Russia). La Russia, oggi, governa di fatto, illegalmente, la Crimea, e influisce pesantemente, attraverso gli Stati-fantoccio separatisti, su parte delll’Ucraina orientale. Preciso che questa situazione è oggettiva e non è esponibile a interpretazioni benevole. Lo stesso Putin, dopo aver lungamente negato, ha dovuto ammettere questo stato di fatto, di fronte all’evidenza. Tutto il resto – cioè il tentativo di giustificare le azioni russe, il referendum, la questione linguistica – è noia. In conseguenza della condotta di Mosca, l’Unione europea e altri Stati hanno imposto contro la Russia delle sanzioni, per indurla a cessare questa evidente violazione del diritto internazionale. In risposta a queste sanzioni, la Russia ne ha imposte di sue contro gli Stati europei.

E vero che le sanzioni danneggiano le imprese italiane ed europee? – Le sanzioni colpiscono alcuni oligarchi, ricchi uomini di potere strettamente legati al sistema-Putin. Limitano inoltre le forniture alla Russia di beni militari o che possono essere utilizzati a scopi bellici. Certamente le sanzioni hanno effetti negativi su alcune imprese europee, ma le sanzioni che colpiscono maggiormente Italia ed Europa sono quelle imposte in risposta dalla Russia, perché toccano il commercio di prodotti agroalimentari e altri settori economici più centrali. L’Italia è particolarmente colpita, perché gli imprenditori della Penisola non hanno saputo differenziare i mercati. E’ dal 2007, con un celebre discorso di Putin a Monaco, che la Russia si è messa dichiaratamente in rotta di collisione con il resto del mondo. Gli imprenditori di altri Paesi hanno prudentemente differenziato i loro mercati di esportazione. In Italia, le imprese che realizzavano il 50, 70 o persino il 100% del fatturato in Russia hanno continuato imperterrite, anche se la condotta internazionale di Mosca diventava ogni giorno più inaffidabile. Queste imprese oggi piangono miseria: pagano, in realtà, la loro imprudenza e impreparazione. Nel frattempo, però, in diversi settori l’export italiano verso Mosca è nuovamente aumentato (ma nessuno lo dice, l’argomento è scomodo per chi vittimizza la Russia).

Le sanzioni servono? – Le sanzioni producono risultati nel tempo, non risolvono mai subito l’evento che le ha rese necessarie. Sembrano, perciò, inefficaci, li per lì. Se anche si accertasse che le sanzioni sono inutili (e può succedere), bisogna chiedersi quale strumento alternativo utilizzare: l’unico è la risposta armata, cioè la guerra. Si vagheggia qui e là di «soluzioni politiche» al conflitto in Ucraina. Si deve sapere che su uno scenario di conflitto non c’è «soluzione politica» che funzioni se non vi è anche uno strumento sanzionatorio che ne accompagni l’attuazione. La soluzione politica, poi, esiste già: sono gli accordi di Minsk II. La loro attuazione è ferma per motivazioni riconducibili a entrambe le parti, ma l’Ucraina ha più ragioni della Russia, per avere riserve su come attuare gli accordi. Le due parti non sono sullo stesso piano: la Russia è l’aggressore, l’Ucraina è l’aggredito. Non bisogna dimenticarlo, anche se gli accordi di Minsk potrebbero essere migliorati e attuati con più speditezza.

Le sanzioni hanno indubbiamente un prezzo anche per gli Stati che le impongono, oltre che per quelli che le subiscono. Questo prezzo, però, non deve essere commisurato ai rapporti in tempo di pace, ma al costo di un conflitto armato. Se si rimuovono le sanzioni alla Russia, l’alternativa è che l’esercito ucraino, appoggiato da altri Paesi occidentali o dalla NATO, tenti di liberare con la forza i territori ucraini occupati da Mosca. La conseguenza sarebbe un conflitto armato di proporzioni imprevedibili. Costerebbe meno delle sanzioni?

L’altra possibilità è considerare la conquista armata della Crimea e degli altri territori come fatto acquisito «rebus sic stantibus», accettando che nel 2018 uno Stato possa aggredirne militarmente un altro e impossessarsi di suo territorio con il tacito consenso della comunità internazionale. Così facendo, l’Austria avrebbe un precedente per aggredire l’Italia e annettere il Sudtirolo, sapendo di contare sull’acquiescenza del resto del mondo; oppure l’Italia potrebbe aggredire la Francia e riprendere il controllo su Nizza e la Savoia, e così via. Le conseguenze, per il mondo, si possono immaginare. Costerebbero meno delle sanzioni?

L’aggressione russa all’Ucraina ha rotto un tabù che in Europa nessuno infrangeva dall’invasione del Terzo Reich ai danni della Polonia, nel 1939, con cui iniziò la seconda Guerra mondiale: l’invasione e l’annessione gratuita di territorio altrui a meri fini d’espansione (se qualcuno pensa di citare il Kosovo come precedente, taccia e vada a studiare). Perciò, lasciare le azioni di Mosca in Ucraina senza risposta e darne per acquisiti gli esiti è inammissibile, per tutti.

Questa, però, è la soluzione che Salvini mostra ancora una volta di desiderare: rimuovere le sanzioni e riconoscere come fatto compiuto l’annessione violenta da parte della Russia di territorio ucraino. A Mosca, il ministro italiano ha ostentatamente espresso cordoglio ai russi per la strage avvenuta due giorni fa a Kerč’, come se questa città si trovasse in Russia, mentre in realtà è in Ucraina, nella Crimea occupata da Mosca. Dopo aver irriso a più riprese le istituzioni e le autorità europee, ha affermato che «non esiste Paese più europeo della Russia,» indicando così, senza mezzi termini, quale dovrebbe essere, secondo lui, il partner privilegiato per il suo Paese.

Gli italiani dovrebbero sapere che il loro ministro dell’interno, quando si trova in Russia, non parla come un funzionario di Stato italiano, ma come un uomo di Mosca. Le sue argomentazioni sono sovrapponibili a quelle di qualunque ministro del governo Putin-Medvedev. Salvini, però, non conosce la Russia. Non basta «prendere la metropolitana e andare in giro per Mosca,» come dice lui. Ieri ha fatto un paio di scivoloni sul recente scisma religioso, sull’uso della forza e sulla questione turco-cipriota che sembrano svelare parecchie lacune sulle relazioni internazionali e sul sistema di potere russo. Per questo motivo, è possibile che ne sottovaluti la pericolosità.

Gli elettori apprezzano Salvini per le sue intemerate contro le migrazioni. Hanno delle ragioni, dopo anni in cui governanti utopisti e interessati hanno lasciato incancrenire il fenomeno all’inverosimile. Giunto al potere facendo leva su questo tema, abilmente, Salvini con una mano agita la bandiera nazionalista, mentre con l’altra, forzando persino i confini delle sue competenze ministeriali, sta cambiando l’orizzonte geopolitico dell’Italia, dalla vecchia Europa degli ubriaconi e mondialisti verso una «nuova Europa» rappresentata, a suo dire, dalla Russia. Se l’elettore medio italiano avesse una pur minima preparazione internazionale, fuggirebbe questo scenario come la peste. Invece, lo vota e lo acclama, senza accorgersi che la macchina ha già cominciato a scivolare in discesa, verso Mosca, con freni sempre più deboli.

Fonte : Luca Lovisolo