Ho interrotto il reportage che eravamo a Volnovakha, nel bar con le due studentesse che sorseggiavano un the. Usciamo per riprendere il nostro veicolo e fare una prima tappa al fronte. Percorriamo il viale centrale direzione Mariupol e noto che ai lati stanno rifacendo i marciapiedi con i cubetti di porfido, decine di persone ci stanno lavorando. Penso tra me e me che è una cosa superflua per una cittadina vicina al fronte che potrebbe essere devastata da un momento all’altro, ma evidentemente è anche un segnale per la popolazione di normalità e di speranza.

Per arrivare nella base dove siamo diretti, si passa all’interno di altri piccoli paesi, spesso fatiscenti e con i segni della guerra ancora abbastanza evidenti. Denominatore comune di queste realtà sono gli edifici scolastici i quali presentano invece un aspetto curato e piacevole. La stessa cura la troviamo nei bambini che che si recano a scuola, sempre ordinati e curati nell’aspetto. L’edificio scolastico come il palazzo del comune sono simboli della presenza dello Stato.

Nella giornata visitiamo tre basi, visite nelle quali i volontari distribuiscono gli aiuti raccolti a casa. Medicine, cibo, caffè e qualsiasi genere di conforto che crea quella costante connessione con la realtà di casa, quella realtà che qui tra trincee e fango sembra lontana anni luce. La necessità di ricreare un habitat quanto più normale possibile è forse più una necessità psicologica di mantenere un legame con il focolare domestico, che non quella di avere maggiori comfort, anche quando si vive sulla linea di un fronte di guerra. Così le pareti degli shelter vengono decorate con fogli colorati di materiali sintetici che hanno la funzione si di mantenere il caldo, ma anche di fornire una luce meno cupa a quegli angusti ambienti, i disegni dei bambini sostituiscono i quadri, le casse di munizioni vuote diventano degli armadietti e pezzi di granate posaceneri.

Fuori è buio, tira un vento gelido, ci gustiamo un caldo caffè e si discute con i soldati quale sarà il futuro dell’Ucraina. Tutti sembrano essere molto fiduciosi anche se consci che tutto dipenderà dai piani della Russia. Se la Russia vorrà la guerra la guerra ci sarà e porterà devastazione ovunque, se la Russia invece deciderà di rientrare nell’alveo del diritto internazionale allora finalmente ci sarà la tanto sospirata pace. Mentre discutiamo di questo da un vecchio televisore arrivano le immagini provenienti da Kyiv.

In piazza Sofia inizia a parlare il Presidente Poroshenko, un discorso per celebrare la nuova Chiesa ucraina che si stacca definitivamente dal patriarcato di Mosca. Tutti si voltano ad ascoltare le parole, nella stanza cala il silenzio. Scrutando i volti dei soldati si percepisce una certa soddisfazione, nonostante spesso gli stessi abbiano criticato il loro presidente. Alla fine dei discorsi in piazza a Kyiv intonano l’inno ucraino ed anche nello shelter si alzano tutti in piedi ed iniziano a cantarlo. E’ un momento di forte commozione dove si avverte una vera unità nazionale, le critiche vengono messe da parte, ci si rende conto che si è di fronte ad un fatto storico che segna l’indipendenza della Chiesa Ucraina dopo quasi 400 anni.

Abbiamo ancora tempo per una visita veloce ad un’ultima base, quando arriviamo veniamo come sempre accolti fraternamente. E’ una serata speciale perché si festeggia il passaggio di grado di tre componenti, un caporale (che in Ucraina corrisponde al nostro sergente) un sotto tenente ed un capitano. La cerimonia tradizionale prevede di intingere il grado in un bicchiere contenente vodka (praticamente l’unico momento che si può bere liquore in una base militare), poi il militare dovrà bere tutto di un sorso il contenuto del bicchiere e pronunciare la frase di rito di fedeltà ai nuovi obblighi assunti. Solo dopo uno dei militari scelti dal comandante applicherà la patch con il nuovo grado sulla divisa del soldato graduato.

Osserviamo con il dovuto rispetto ma ben presto veniamo coinvolti nella serata, i soldati si informano su quanto si dice in Italia della guerra in Ucraina. Con molto rammarico dobbiamo riferirgli che circolano da noi tanti fakes sulla questione e che purtroppo da noi prevale una narrativa fortemente pro russa a prescindere.

E’ notte fonda e il nostro viaggio deve ancora proseguire, dobbiamo arrivare a Mariupol. Fuori dalla base il buio è nero come la pece, non ci sono luci (per ovvi motivi di sicurezza) e ci facciamo strada con le luci dei telefonini per arrivare al nostro mezzo. All’ingresso della base la foto dell’ultimo commilitone ucciso recentemente da uno sniper, un omaggio ma anche un monito per tutti a ricordare che la morte cammina ogni momento a fianco a te. Ci salutiamo con i consueti abbracci che solo coloro che  li hanno provati almeno una volta possono comprendere di cosa si tratta. Sono abbracci vigorosi pieni di rispetto e speranza, la speranza di rivedersi presto, tutti vivi e ripetere l’esperienza di una cena tutti insieme in amicizia.

Ripartiamo tra le stradine del Donbas, abbiamo studiato il percorso per arrivare a Mariupol, il viaggio sarà lungo nonostante i soli 70 km che ci separano dalla città, arriveremo a notte fonda dopo aver superato un paio di check point.

Continua…