Come spesso accade la propaganda va ad ondate, quasi verrebbe da pensare che vi sia dietro una logistica che determina l’uscita contemporanea di più articoli sui media.

Dopo aver analizzato l’articolo di Maurizio Vezzosi (che curiosamente cita anche l’autore dell’articolo che analizziamo adesso) ci occupiamo dell’articolo a firma Andrea Sceresini pubblicato su Il Giornale. Rimane curiosa la concomitanza dell’uscita di due articoli che non dicono nulla di nuovo, anzi l’articolo di Sceresini può in qualche modo alleggerire la posizione di Vitaly Markiv per i passaggi sottodescritti.

Il titolo è un titolo giornalistico “Vi sveliamo com’è morto il fotografo italiano a Sloviansk” perchè in realtà non vi è nulla di nuovo rispetto a ciò che è già stato scritto nelle carte processuali, ma anzi come già detto vi sono un paio di particolari che potrebbero essere tenuti inconsiderazione dalla difesa di Vitaly Markiv.

Va subito detto che questo articolo non ha nulla a che vedere con l’articolo pubblicato da Vezzosi (almeno per quanto riguarda il taglio che in questo caso è un taglio pienamente giornalistico), in questo caso infatti non vengono utilizzate le keywords dei neonazsti ucraini e tutto l’armamentario della retorica violenta utilizzata dal collaboratore di Limes.

Ma analizziamo l’articolo di Sceresini “L’indomani siamo andati sul posto, dopo esserci vestiti in abiti civili per evitare di essere colpiti dagli sniper ucraini.” Cioè proprio come erano vestiti i giornalisti. Questo confermerebbe che gli ucraini non sparavano contro i civili e che quindi il fuoco dalla collina iniziò come fuoco di risposta. Gli stessi testimoni infatti dichiarano che in abiti civili non furono sottoposti al fuoco proveniente dalla collina.

Questo punto dell’articolo è invece strano “È il racconto di due miliziani della repubblica separatista di Donetsk, il soldato Alexander Vladimirovich Rakityansky e il suo comandante «Zhora», che siamo riusciti a rintracciare e intervistare in una posizione di retrovia alla periferia della città.” stranezza dovuta al fatto che l’autore dell’articolo ha visitato per la prima volta Sloviansk nel novembre 2014 quando le milizie irregolari e le truppe russe erano ben lontane dalla città. Non è dato quindi sapere quando e dove siano stati intervistati questi “due nuovi testimoni”

Poi prosegue “Si tratta di una testimonianza molto importante, che viene raccolta oggi per la prima volta tra le svariate persone presenti in quei giorni sul luogo della tragedia, infatti, quasi nessuno ha accettato di parlare, né con i giornalisti né con gli inquirenti.“. Questo punto sconfessa il precedente ma questo poco importa. Dimostra invece che la Procura Ucraina non ha mai intralciato le indagini e che questi due testimoni emergono solo oggi e che semmai è stata la milizia irregolare pro russa a non voler far luce su questo caso. Le persone citate potranno essere finalmente oggetto di richiesta dell’Autorità Italiana per essere sentite come persone informate sui fatti, a meno che l’autore dell’articolo si riservi di non rivelare le sue fonti neanche alla Procura di Pavia, ma in questo caso si andrà a far benedire lo scoop e l’articolo verà relegato al rango di Fake o di storia inventata.

Nel prosieguo della descrizione dei fatti ci sono alcune differenze con quanto letto sugli atti della Procura e quindi non ci soffermiamo perchè gli unici atti ufficiali che saranno utilizzati in dibattimento sono quelli già resi pubblici.

L’intervista ai due neo testimoni prosegue :

recuperammo i loro documenti d’identità, oltre alle fotocamere e alcuni altri effetti personali. Portammo ogni cosa al quartier generale, dove tutti i reperti furono accuratamente fotografati per ordine dei nostri superiori: l’ufficiale Druzhok e il suo vice Batya.” ed ancora “I resti dei due uomini furono portati all’obitorio, mentre i loro documenti rimasero in mano a Druzhok, che li consegnò ai suoi superiori: a Igor’ Ivanovi Strelkov (all’epoca ministro della Difesa dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, ndr)

Questo invece è un punto molto importante già più volte emerso nelle nostre ricostruzioni e che rappresenta un punto oscuro nelle indagini italiane. Perchè la Procura di Pavia non ha mai chiesto l’audizione di Igor Strelkov che era il responsabile dell’area e quindi anche il responsabile di tutti gli accertamenti balistici e di repertazione delle evidenze ? Pare infatti strano che la Procura di Pavia abbia sempre richiesto degli accertamenti irripetibili a chi non poteva materialmente farli, cioè alla Procura Ucraina. Viene qui ripetuto che l’area (a differenza di quanto sostenuto da alcuni media italiani in passato) era sotto il completo controllo delle milizie irregolari pro russe e che gli ucraini controllavano solo la sommità della famosa collina di Karachun.

Altro punto che contrasta con le precedenti dichiarazioni è questo : “l’area antistante alla fabbrica di ceramiche Zeuss, tra le cui mura erano asserragliati i miliziani separatisti“. La fabbrica non si trova a centinaia di metri dalla scena del crimine, ma a poche decine. Roguellon nella sua deposizione sostiene che non c’era nessun miliziano a vista e che hanno passeggiato nell’area per diversi minuti in assoluta tranquillità. Tale frangente è molto strano perchè un fotografo professionista che non si accorge che a dieci metri c’è un edificio occupato di miliziani armati o è cieco o fa finta di non vedere. Altra stranezza è che in un edificio del genere (molto grande) trasformato in bastione militare, si vede arrivare un veicolo civile non identificato sotto le proprie finestre e nessuno dei miliziani all’interno si interessa di capire chi sono i civili che passeggiano tranquillamente apochi metri.

Per una volta dobbiamo ringraziare “i separatisti”, in questo caso hanno fornito ulteriori utili elementi alla difesa di Vitaly Markiv per dimostrare la sua totale innocenza.