di Oles Horodetskyy, Presidente dell’Associazione Cristiana degli Ucraini in Italia

Volodymyr Borovyk – contributo tecnico e computer

Il 12 luglio la Corte d’Assise a Pavia emetterà la sentenza per il caso Rocchelli, che vede come unico imputato Vitaliy Markiv, all’epoca dei fatti un soldato semplice della Guardia Nazionale d’Ucraina, accusato di concorso in omicidio. Sarà la parola fine a questo strano e assurdo processo che per molti versi probabilmente non doveva neanche iniziare. Un processo che si regge su mezze verità e piene falsità, con un giovane innocente da due anni in carcere che da sempre si è dichiarato estraneo ai fatti. Un processo definito dalla stampa italiana “la ricerca della verità”, ma che dal primo giorno con la verità ha avuto ben poco a che fare.

E’ impressionante il contributo dei giornalisti, che pur dichiarando nobili fini, hanno giocato un ruolo principale nella disinformazione in questo processo, cominciando dalla “notizia” mal interpretata, in parte inventata e gonfiata, di Ilaria Morani sul Corriere per finire con i diffamanti articoli di Fabrizio Gatti  e Nello Scavo. E’ sorprendente che nessun giornalista si sia curato di condurre una inchiesta indipendente, di leggere tutte le carte del processo, di parlare anche con gli avvocati della difesa e non limitarsi solo a pubblicare il punto di vista dell’avv. Ballerini (parte civile della famiglia Rocchelli). Peccato, perché questo atteggiamento poco professionale ha significato non solo il carcere per un innocente, ma ha anche impedito in modo grossolano la ricerca della verità sulla tragica morte di Andrea Rocchelli.

Cosa è successo il 24 maggio 2014 vicino a Sloviansk?

Cerchiamo di ricostruire la dinamica dei fatti accaduti il 24 maggio 2014, il giorno della morte di Andrea Rocchelli, basandoci esclusivamente sulle dichiarazioni del testimone Wiliam Roguelon, fotoreporter francese sopravvissuto nella tragedia, testimone principale dell’accusa. Le sue dichiarazioni sono in grassetto. Prendiamo il racconto di Roguelon reso al Pubblico Ministero francese a Libourne, 8.10.2014, tre mesi dopo la tragedia.

Cominciamo con la decisione dei giornalisti di partire dall’albergo di Sloviansk.

“Il 24.05.2014, giorno dell’attacco, durante tutta la giornata la situazione peggiora nettamente. Parecchi bombardamenti hanno luogo intorno a Sloviansk. Prima di quella data, i bombardamenti si facevano generalmente di notte…

Verso le ore 15, i bombardamenti si sono fermati. Verso le ore 16 e 30 minuti, ho sentito Andrea e Andrei lasciare le loro stanze d’albergo, ci siamo allora scambiati notizie e Andrea mi ha informato che si recava con Andrei in un quartiere della città che era stato bombardato presto nella giornata dall’esercito ucraino… Ho chiesto a loro di potermi aggregare. Questo mi permetteva di economizzare i costi di trasporto e di autista e allo stesso momento di non trovarmi solo sul campo” 

Il 7 aprile 2017 (tre anni dopo) nelle sue dichiarazioni rese al Pubblico Ministero italiano Roguelon precisa che Mironov e Rocchelli “volessero andare presso il villaggio di Kramatorsk per documentare i bombardamenti, in riferimento alla telefonata giunta sul cellulare di Andrei che lo informava dei bombardamenti”

Qui sorge la prima domanda. Chi ha chiamato Mironov e come ha fatto a convincerlo a partire, visto che quel giorno secondo Roguelon stesso “durante tutta la giornata la situazione peggiora nettamente. Parecchi bombardamenti hanno luogo intorno a Sloviansk”? Cosa è stato detto a Mironov esattamente, e dove dovevano andare di preciso visto che sono arrivati in un vicolo cieco perché la strada era bloccata dal treno? Perché hanno preso questa strada se dovevano recarsi a Kramatorsk visto che il taxista era della zona e sapeva che questa strada non portava a Kramatorsk? Quindi non è chiaro dove dovevano andare, quale era la destinazione finale e perché sono partiti nonostante la pericolosità della situazione.

Siamo partiti con un autista di Sloviansk denominato Genia…. Genia era autista di Andrei Mironov e Andrea Rocchelli. Eravamo quindi 4 a bordo del veicolo. Siamo arrivati sul posto dopo poco meno di 10 minuti di strada. Mentre andavamo, Andrei Mironov decise di fermarsi su una strada prima della nostra destinazione al fine di fare le fotografie in prossimità della fabbrica “Zeus Ceramica” le cui coordinate GPS sono: N 48, 49’20.0’’/E 37, 34’54,5’’. In quel momento, l’autista arresta il veicolo su ciglio della strada ( Cfr. coordinate GPS sopracitate).

Immagine 1

 

Nell’immagine 1 è visualizzato il momento dell’arrivo della macchina con i giornalisti e la posizione esatta della fermata della macchina. Sull’immagine sono anche visualizzati il passaggio a livello con il treno bruciato, il muro della fabbrica (una linea nera lungo la strada, indicata con la foto reale) e il verde sull’altra parte della strada contenente il fossato. Sull’immagine è anche indicata con la bandierina l’unica postazione ucraina in zona sulla collina Karachun, che si trova a distanza di 1700 m (dati della Procura).

“Abbiamo lasciato il veicolo e abbiamo camminato prudentemente in direzione di una linea ferroviaria che traversava la strada e che si trovava a 200 metri dal nostro veicolo…. Abbiamo preso degli scatti del treno che era bruciato e per metà esploso…Andrea Rocchelli ed io stesso abbiamo preso foto mentre Andrei Mironov ci spiegava che il treno doveva impedire l’avanzata dell’esercito ucraino con dei cari armati.”

 

Immagine 2

 

Immagine 2 visualizza il momento descritto da Roguelon. Con la figurina rossa è indicato il gruppo dei giornalisti, con la freccia rossa la direzione del loro movimento e il treno che hanno fotografato.

Inizia lo scontro a fuoco

“Siamo rimasti sul posto soli e allo scoperto sulla strada per circa 10 minuti. Ci siamo avvicinati al treno e in quel momento un uomo è uscito dai cespugli vicino al treno.  Era vestito da civile e con gli infradito. Correva nella nostra direzione e gridava in russo. Mironov ci ha tradotto in inglese. Avevano sparato addosso all’uomo e diceva che bisognava partire subito….”

 

Immagine 3

 

L’immagine 3 visualizza il momento descritto e la visuale che avevano i giornalisti. Davanti a loro vedevano il treno distrutto, sulla sinistra il muro della fabbrica e sulla destra la zona verde con gli alberi e i cespugli.

 

Immagine 4
Immagine 5

Le immagini 4 e 5 illustrano la comparsa della quinta persona fotografata da Rocchelli.

La “quinta persona” è uscita dai cespugli, che erano sul lato opposto del muro della fabbrica, quindi dalla destra guardando il treno, ed era stata già presa di mira. Solo quando compare la quinta persona iniziano sparare prima su questo ragazzo e poi sul gruppo.

“Immediatamente, seguendo i consigli dell’uomo e di Mironov , siamo ritornati rapidamente verso la vettura distanziandoci di 10 metri ognuno….Forse 30 secondi dopo abbiamo subito degli spari di kalaschnikov che provenivano dalla nostra sinistra e che colpivano il muro di fabbrica sulla nostra destra. Non sono in grado di dire quante persone sparavano poiché c’erano troppi scambi. Mentre, ne sono certo, eravamo presi come bersaglio”.

Immagine 6

 

Immagine 7

Le due immagini visualizzano quanto racconta Roguelon. Il gruppo dei giornalisti si è girato e sta venendo verso la macchina. Dietro di loro si trova il passaggio a livello con il treno distrutto, dietro al quale, a distanza di 1700 metri, si trova la collina Karachun dove vi sono i soldati ucraini, a destra c’è  il muro della fabbrica e a sinistra c’è la zona verde con gli alberi e i cespugli. Roguelon dice chiaramente: “Abbiamo subito degli spari di kalaschnikov che provenivano dalla nostra sinistra e che colpivano il muro di fabbrica sulla nostra destra”. Quindi sparavano dalla loro sinistra, e non da dietro dove a distanza di quasi due km c’erano gli ucraini.

Immagine 8 la zona verde e la fabbrica Zeus Ceramica

 

Stando al racconto di Roguelon, sparavano da sinistra, che poteva essere sia la zona verde che la base dei terroristi nella fabbrica Zeus indicata sulla foto.

Il testimone non ha mai detto che gli spari provenivano da dietro di loro o dalla direzione del treno. E l’unica postazione ucraina in zona all’epoca dei fatti si trovava sulla collina Karachun, cioè come indicato sulla cartina dietro rispetto al gruppo dei giornalisti. Questa posizione era circondata dai terroristi. Nessun soldato ucraino scendeva giù o saliva sulla collina. L’unico modo per accedere a Karachun per portare l’acqua e cibo era con l’elicottero. Cosi portando i viveri ai soldati è morto il generale Kulchytskyy (il 29 maggio 2014 è stato abbattuto il suo elicottero).

“Allora tutti e 5 siamo saltati nel fossato che si trovava sulla nostra sinistra. Il fossato è circondato da grandi alberi alti più di 10 metri e profondo di 3 metri circa. In fondo al fossato c’erano dei detriti e molte bottiglie di plastica. La vegetazione era densa. Mentre gli spari continuavano, eravamo al coperto e ci siamo diretti verso la vettura correndo in mezzo al fossato”.

“Ci siamo avvicinati nel fossato all’altezza della vettura; abbiamo mantenuto il nostro sangue freddo e Andrei Mironov ci indicava che avremmo dovuto aspettare un pochino….

In quel momento ho scattato un’ultima foto e ho riposto il mio apparecchio fotografico. Gli spari sono durati forse 01 minuto e poi si sono fermati. “

Immagine 9

Questa immagine 9 visualizza proprio quel momento del racconto del giornalista francese. A destra c’è una foto ripresa dal suo video (di Roguelon) nel momento in cui si sente il dialogo in russo tra Mironov e autista, nel quale Mironov prima di morire racconta che sono capitati in mezzo a una sparatoria, che vicino c’è qualcuno che spara con quello che ha e che c’è un mortaio vicino. Il dialogo è negli atti.

Questo dialogo è molto importante perché è la testimonianza diretta dal luogo della tragedia. C’era qualcuno li vicino che sparava con quello che aveva a disposizione. E c’era anche un mortaio li vicino. Né chi sparava né il mortaio vicino appartenevano alle forze ucraine. Loro erano troppo lontani. C’è stata una sparatoria, un conflitto a fuoco da diverse parti e non certo un fuoco premeditato da parte ucraina mirato ad uccidere i giornalisti. Ma questa testimonianza importantissima che di fatto smonta tutta la versione della Procura non è stata presa in considerazione. Come ha fatto notare in aula l’avv. Della Valle (difensore di Markiv), l’omissione di questa prova da parte del PM è un fatto gravissimo.

Proseguiamo con la testimonianza di Roguelon. Procede con la descrizione dettagliata della morte di A. Rocchelli e A. Mironov. Non lo riportiamo per la sua crudeltà. Il particolare importante per la nostra ricerca è la provenienza dei mortai sul fossato dove si trovavano i giornalisti. Roguelon però non da l’indicazione sulla provenienza dei colpi. Lo fa dopo, e più avanti torneremo su questo punto.

Nell’immediatezza dei fatti agli inquirenti francesi Roguelon aveva dichiarato: “ n seguito, ho sentito dei rami spezzarsi e allora ho capito che delle persone venivano verso di me, non sono in grado di dirle di chi si trattava”

Tre anni dopo, al PM italiano il giornalista ha dichiarato a verbale:

“Dopo 10 minuti dalla fine dei colpi di mortaio, sentivo delle persone accedere all’interno del fossato. Sentivo delle raffiche in mia direzione e quindi iniziavo a urlare di essere un giornalista; a questo punto sentivo cessare gli spari. Uscivo dal fossato con mani in alto e la macchina fotografica in mano, oltre il mio capo, allontanandomi lungo la strada in direzione della città di Sloviansk, incontravo dopo poco dei miliziani filo-russi che si stavano dispiegando, che non mi sparavano e mi lasciavano passare. Visto quando descritto penso che i soldati all’interno del fossato fossero i soldati ucraini”.

Immagine 10

Chi poteva scendere nel fossato? Sull’immagine 10 si vede chiaramente che non potevano essere i soldati ucraini che erano troppo lontani ed erano impossibilitati in un tempo cosi breve percorrere una distanza di quasi 2 km, entrare nel territorio nemico attraversare i binari per cercare le persone nel fossato. Chi allora poteva esserci? Le stesse persone che hanno sparato. Cioè separatisti filorussi. Era la zona che loro controllavano. Le loro posizioni erano li nel verde e nella fabbrica Zeus. Nella foto seguente, presa dal video di Russia Today girato proprio a maggio 2014, si vede un separatista con il kalschnikov nel verde vicino al treno.

Immagine 11

Nell’immagine successiva (12) dei primi di maggio 2014 si vede chiaramente un filorusso con un lanciagranate direttamente nella zona adiacente al treno.

Immagine 12

 

Riprendiamo il racconto del giornalista francese reso in Francia. “Mi hanno di nuovo sparato addosso e perso dal panico ho gridato a più riprese “giornalista”. Gli spari si sono interrotti immediatamente e sono uscito con le braccia alzate e con il mio apparecchio fotografico sulla testa. Ho seguito la strada sulla sinistra lungo la fabbrica “Zeus Ceramica” senza subire spari. Circa 500 metri più in là, mi sono trovato a faccia a faccia con dei soldati filorussi nascosti dietro dei pannelli e dei muri nella fabbrica su citata. Mi sembra che mi abbiano insultato in russo facendomi capire con grandi segni della mano che dovevo partire. Ne ho visti pressappoco una ventina e a occhio 04 hanno imbracciato il fucile verso di me. Li ho superati e ho continuato a camminare lungo la strada braccia alzate. Mentre non li vedevo più e si trovavano dietro di me, ho sentito degli spari provenienti da quel gruppo di soldati nella mia direzione. Mi sono girato e ho visto che sparavano in aria. Mi hanno fatto capire che dovevo andare via più velocemente. Vista la mia ferita, ho provato a correre ma senza però riuscirci.  Arrivato al primo incrocio pressappoco 01 chilometro più avanti, un veicolo che passava per caso si è fermato davanti a me. Sono salito davanti e ho fatto cenno al guidatore di partire rapidamente. Mentre stavamo per partire, siamo stati colpiti da una raffica di kalaschnikov proveniente da dietro di noi.  ”

Immagine 13

Nell’immagine 13 è evidenziato il percorso fatto da Roguelon descritto sopra. Si vede che la zona della fabbrica e del verde prima della ferrovia è molto compatta e vicina. Questa zona secondo le numerose testimonianze, comprese quelle della tv russa, era controllata dai terroristi filorussi. Gli edifici della fabbrica erano le basi dei terroristi, invece nella zona verde vi erano le loro postazioni.

Dopo questa ricostruzione possiamo giungere ad unica conclusione possibile: i giornalisti sono stati attaccati dai terroristi filorussi. Non sappiamo se era un attacco premeditato o hanno sparato perché hanno scambiato la comitiva per dei soldati ucraini. Ma sono stati loro a sparare. Solo cosi si spiegano i seguenti fatti:

  1. La provenienza dei colpi dalla sinistra (parte opposta al muro) e non da dietro il treno, dove si trovava la collina Karachun a quasi due km di distanza.
  2. Il tiro utile del kalaschikov permetteva a questa distanza (meno di 500m) di colpire sia i giornalisti che la macchina (non era possibile invece farlo da Karachun che distava 1700 m).
  3. Nel fossato scendono i filorussi a vedere il risultato dell’attacco. Trovandosi a distanza di 500 m, sulla pianura, nella zona di loro controllo è molto più plausibile che fossero proprio i filorussi, invece che supporre fossero soldati ucraini i quali erano posizionati  troppo lontani, in unica posizione sulla collina, oltre la ferrovia.
  4. I soldati filorussi incontrati da Roguelon non sono andati a perlustrare la zona in ricerca di “nemici” e non hanno sparato dopo verso il fossato da dove proveniva il giornalista francese perché o sono stati loro stessi a compiere l’attacco, o loro commilitoni che stavano nell’edificio bianco a destra, guardando la mappa o nella zona verde.
  5. Nella macchina rossa che ha portato via il giornalista potevano sparare con il kalaschnikov solo i separatisti. Colpire la macchina da Karachun (3000 m) con un kalaschnikov è contro le leggi della fisica.

Cosa dice Roguelon sulla provenienza dei colpi?

L’8 ottobre 2014 (4 mesi dai fatti) alla domanda degli inquirenti francesi: “E’ in grado di fornire le elementi precisi sugli autori dei fatti?” risponde – “Penso fossero soldati governativi ucraini, senza però essere in grado di affermarlo”. Dopo 3 anni cambia la sua versione: alla domanda del PM italiano: “ha mai avuto dubbi sulla provenienza dei colpi di mortaio?” risponde: “Sono molto sicuro di come i colpi di mortaio provenissero dalla fazione Ucraina in quanto scappando dopo gli eventi, quindi in direzione opposta agli spari, incontravo circa 30 miliziani filo-russi”. Alla domanda: “Da dove sentiva arrivare i colpi di mortaio?” risponde “I colpi giungevano dall’alto, ma il rumore del colpo di mortaio che si apre in aria, proveniva dai campi, quindi dal medesimo luogo dei colpi di armi leggere”, alla domanda successiva risponde: “…Presumo che per i colpi di mitragliatrice fossero al nostro stesso livello, ma da ricerche ho appreso che vi fosse una collina con antenna televisiva ove era ubicata una base dell’esercito ucraino…” E ancora alla domanda: “In base a cosa può riferire che quel giorno provenivano dall’antenna televisiva?” risponde:” Avanzando non abbiamo trovato check point, ma tutti i giornalisti sapevano, non avendo la posizione esatta di come in zona vi fosse una postazione Ucraina”.

Come risulta dalle dichiarazioni di Roguelon, l’unica risposta certa relativa alla provenienza dei colpi l’ha data sui primi spari. “Forse 30 secondi dopo abbiamo subito degli spari di kalaschnikov che provenivano dalla nostra sinistra e che colpivano il muro di fabbrica sulla nostra destra.” (vedi sopra) Cioè ha citato fatti oggettivi, facilmente verificabili: “provenivano dalla nostra sinistra e che colpivano il muro di fabbrica sulla nostra destra”.

La risposta vaga che è stata data durante il primo interrogatorio in Francia: “Penso fossero soldati governativi ucraini, senza però essere in grado di affermarlo” appare la più sincera. E questo è comprensibile. Lui non ha visto da dove e chi ha sparato.

Successivamente però, soprattutto dopo la riapertura delle indagini in Italia a 3 anni dai fatti, sembra che suoi ricordi si sono “chiariti” in un’unica direzione, quella di dare la colpa agli ucraini. Non perché ha visto che i colpi provenivano da quella direzione, infatti non lo dice. Ma perché dovevano sparare gli ucraini per poterli incolpare e soprattutto perché c’era già un indagato, un soldato ucraino e quindi una parte civile su cui rivalersi.

“Sono molto sicuro di come i colpi di mortaio provenissero dalla fazione Ucraina in quanto scappando dopo gli eventi, quindi in direzione opposta agli spari, incontravo circa 30 miliziani filo-russi”, “da ricerche ho appreso che vi fosse una collina con antenna televisiva ove era ubicata una base dell’esercito ucraino…” La più assurda sua accusa che ha messo in difficoltà anche il pubblico ministero riguarda le persone che sono scese nel fossato: “Dopo 10 minuti dalla fine dei colpi di mortaio, sentivo delle persone accedere all’interno del fossato. Sentivo delle raffiche in mia direzione e quindi iniziavo a urlare di essere un giornalista; a questo punto sentivo cessare gli spari. Uscivo dal fossato con mani in alto e la macchina fotografica in mano, oltre il mio capo, allontanandomi lungo la strada in direzione della città di Sloviansk, incontravo dopo poco dei miliziani filo-russi che si stavano dispiegando, che non mi sparavano e mi lasciavano passare. Visto quando descritto penso che i soldati all’interno del fossato fossero i soldati ucraini”.

Tutte le accuse di Roguelon contro gli ucraini sono basate non su quanto ha visto, ma sulle proprie supposizioni personali e soggettive, nonché ricerche internet. Ma basta vedere la cartina per capire che proprio i filorussi sono stati gli autori dell’attacco. Questo confermano la distanza, le caratteristiche balistiche, la permanenza nella zona, diversi basi negli edifici della fabbrica!

Immagine 14

Per poter capire la situazione guardando dalla collina sono salito sulla collina Karachun il 29 maggio scorso. Sono andato sul lato della collina che si trova più vicino al passaggio a livello. Allora, da li, (non dalla posizione di Markiv, che si trova 200 metri dietro dall’altra parte della collina che dà su Andriivka,) ma dalla parte più esposta sulla fabbrica Zeus si vede il passaggio a livello e la fabbrica ma non si vede assolutamente la strada in cui i giornalisti avevano lasciato l’auto né tantomeno si distinguono le persone. Ecco cosa si vede con il massimo ingrandimento. Bisogna tener presente che sul passaggio a livello si trovava il treno che ostacolava ulteriormente la visuale.

Immagine 15

Cioè, nessuno dalla collina Karachun poteva vedere la macchina e le persone su quella strada.

Si, gli ucraini sparavano verso il treno quando da dietro di esso i filorussi a loro volta sparavano, ma era l’unico oggetto che vedevano. E proprio per questo i terroristi si nascondevano dietro il treno, per restare protetti. Ma nessuno vedeva oltre il treno-

A questa conclusione sarebbe probabilmente arrivato anche il Pubblico Ministero se fosse andato a vedere i luoghi. Ma non è andato e ha costruito le accuse contro gli ucraini in base a delle supposizioni e ricostruzioni soggettive post factum che andavano in unica direzione, purtroppo quella sbagliata. In tutto questo non cito appositamente il nome di Vitaliy Markiv, perché viste le dinamiche illustrate, accusare lui di omicidio solo perché era unico tra gli ucraini che parlava italiano e aveva la cittadinanza italiana sarebbe un’offesa al buon senso. Ma se non possiamo accusare neanche gli ucraini in generale che si trovavano sulla Karachun, come si può dare la colpa precisamente a uno dei 140 soldati presenti sulla collina?

Alla fine vorrei soffermarmi sull’unica “prova” che coinvolge Markiv alla tragica morte di Andy Rocchelli, cioè sull’articolo di Ilaria Morani

“Abbiamo raggiunto al telefono un capitano dell’esercito che in quel momento era sulla torre a coordinare la difesa della città. «Qui non si scherza, non bisogna avvicinarsi: questo è un luogo strategico per noi, ha raccontato il militare. «Normalmente noi non spariamo in direzione della città e sui civili, ma appena vediamo un movimento carichiamo l’artiglieria pesante. Così è successo con l’auto dei due giornalisti e dell’interprete. Noi da qui spariamo nell’arco di un chilometro e mezzo. Qui non c’è un fronte preciso, non è una guerra come la Libia. Ci sono azioni sparse per tutta la città, attendiamo solo il via libera per l’attacco finale».”

Pensate, questo articolo superficiale, in maggior parte inventato, romanzato e senza informazioni concrete è stato definito dalla Procura della Repubblica come “immediata e spontanea dichiarazione della responsabilità dell’omicidio del fotografo italiano”. Ma basterebbe la minima analisi del testo e la conoscenza di come spesso vengono scritti gli articoli di giornali per rendersi conto che questa affermazione è assurda. Infatti questo articolo è il frutto della interpretazione giornalistica nel tentativo di pubblicare una notizia sensazionale su un tema di attualità. Markiv non era il capitano dell’esercito, ma un semplice soldato della Guardia Nazionale; non stava sulla “torre” ma vicino all’antenna televisiva sulla collina Karachun; non coordinava la difesa della città, ma difendeva l’antenna televisiva. Non possedeva i mortai e per suo ruolo non poteva “far caricare l’artiglieria pesante”. Non sapeva nulla sulla tragedia. È stato informato dal giornalista Marcello Fauci, che gli ha telefonato. Come poteva dire Markiv  “Così è successo con l’auto dei due giornalisti e dell’interprete” come scrive la Morani? Come poteva capire da due kilometri di distanza (ammettendo secondo il teorema dell’accusa che Markiv segnalò la loro presenza e indirizzò il fuoco) che due erano i giornalisti e un interprete? Perché non avrebbe nominato altre persone? Markiv avrebbe detto “gruppo di cinque persone” se li avesse viste. Invece Fauci (autore della telefonata) e Morani (autrice dell’articolo) sapevano solo della presenza di tre persone, “due giornalisti ed un interprete”, e cosi la Morani ha messo nella “citazione” questa sua conoscenza. Ma come mai nessuno ha fatto questa semplice analisi, tenendo in prigione una persona innocente da due anni? Durante l’arringa della difesa l’avv. Della Valle ha fatto presente alla corte queste evidenze. Ha anche ricordato che nessuno dei giornalisti presenti durante la telefonata ha avuto impressione che Markiv avesse “confessato” l’uccisione di Andrea Rocchelli. Perché avrebbero dovuto rivolgersi alla polizia italiana, informare i genitori di Andrea, interrompere qualsiasi rapporto con Markiv. Invece, Marcello Fauci, l’autore della famosa telefonata, qualche mese dopo fa visita a Markiv che si trovava in ospedale e gli chiede di procurargli il giubbotto antiproiettile e l’accetta. La logica vorrebbe che se avesse “ricevuto una confessione telefonica” che il Markiv aveva ucciso un suo collega, sicuramente non gli avrebbe fatto una visita di cortesia ne tanto meno chiesto un favore.

Ultimamente, sentiamo molto spesso parlare della richiesta di verità sulla morte di Andrea Rocchelli. Ma visto quanto è emerso durante il processo e come viene trattato da parte della stampa italiana, la verità sembra interessare poco o nulla. Non serve IL colpevole, ma UN colpevole. Un capro espiatorio da far marcire in galera e da dare in pasto all’opinione pubblica, e poco importa che questi sia innocente.

Esprimo ancora una volta le mie condoglianze ai famigliari di Andrea. E mi domando una cosa sola. Avranno il senso della giustizia compiuta sapendo che sarà condannata una persona innocente senza una prova certa che confermi la tesi dell’accusa?

Oles Horodetskyy