Per concludere questo reportage dal fronte sud dell’Ucraina non possiamo non parlare della situazione al fronte, un fronte di guerra che dista solo 15 km da una città come Mariupol abitata da mezzo milione di abitanti. Va detto subito che in questa zona abbiamo registrato un numero minori di scontri a differenza di Avdivka e Piski dove i combattimenti sono regolari ed anche piuttosto intensi, si vive un clima di attesa ma con un cauto ottimismo. Tutti sono consci che la Russia vorrebbe creare il corridoio di terra per collegare la Crimea, ma anche tutti sanno che questo comporterebbe per le truppe di Putin perdite rilevanti tra le sue truppe, perdite che la Russia in questo momento non si può permettere, non tanto per motivi etici ma per motivi economici.

Il primo posto che abbiamo visitato è un punto di retrovia posizionato tra Volnovaha e Mariupol, qui si passano le giornate facendo manutenzione ai mezzi in attesa di quell’ordine che tutti sperano di non ricevere mai, in quanto loro si muoveranno solo in caso di avanzata russa. Abbiamo la fortuna di assistere alla cerimonia di passaggio di grado di alcuni militari della base. Come sempre in queste occasioni si respira quella strana aria di felicità per un momento di relax e amicizia, mista a momenti di ricordo delle vittime del conflitto. L’ultima recentemente un ragazzo delle compagnia ucciso da uno sniper.

Ucraina Europa
Foto di Roberto Travan

Entrando e uscendo da Mariupol ci si accorge che la normalità vista in città è solo una faccia di questa guerra. Si passa in meno di quaranta minuti dalle bellissime installazioni natalizie del centro di Mariupol alla prima linea del fronte. Al check point che porta a Shirokino stiamo fermi trenta minuti, i soldati controllano i nostri permessi nonostante siamo con uno degli ufficiali di stanza alla ex località balneare, a sottolineare che da li in poi la normalità è finita, una sottile linea invisibile che demarca una “vita normale” dal rischio di essere colpiti in ogni istante da un cecchino.

Arriva l’ok, indossiamo elmetti e giubbotti antiproiettile e partiamo. La strada è completamente sgombra e chiunque la percorra lo fa al massimo della velocità. In pochi minuti giungiamo in una abitazione semidistrutta divenuta base dei soldati ucraini. Veniamo accolti come sempre molto amichevolmente e non manca un buon caffè con del buon cibo caldo.

Il comandante ci mostra dal tetto dell’edificio le postazioni russe poste in due punti differenti intorno al paesino, da lì specie la sera sparano con i mortai e gli sniper. L’edificio ha l’aspetto di tutti gli edifici di Shirokino ovvero semi distrutto, sventrato da colpi di artiglieria e tank. Le parti sottostanti, quelle più sicure, sono state “ristrutturate” dai soldati adeguandole per offrire un buon comfort considerando dove ci si trova.

Ci rechiamo nel centro completamente disabitato di Shirokino, un tempo bella località balneare, ovunque distruzione ed ordigni inesplosi. La scuola è un emblema di questa distruzione tra macerie e banchi, libri abbandonati, lavagne con le scritte lasciate da qualche soldato.

scuola di shirokino

Proseguiamo verso la spiaggia, distante poche centinaia di metri. Qui sorgevano diverse strutture adibite a seconde case per la stagione estiva, doveva essere un gran bel posto per trascorrere le vacanze. Ora tutto è distrutto e la bella spiaggia è separata dal mare da filo spinato che serve più che altro a delimitare la zona da quel tratto di mare oggi completamente minato. Lasciamo una bandiera dell’Europa legata ad un palo, si vede bene anche dal mare e sta a indicare che quella terra è Europa. Da qui si vede il lembo di terra di Novoazovsk dove i russi hanno creato la loro base principale nel fronte sud. A 20 km da qui il confine con la Russia.

Bandiera europea a Shirokino

La seconda bandiera europea la lasciamo su un edificio nel centro di Shirokine, accanto a quella ucraina. I soldati ci aiutano ad issarla e sono felici di avere quel simbolo che sventola nel loro cielo, in fondo sebbene in Europa nessuno se ne cura loro stanno combattendo anche per difendere i confini europei, per difendere quei valori fondanti dell’Unione Europea che sembrano essere sempre meno attrattivi proprio per quegli europei che ne hanno goduto i frutti per oltre settanta anni.

Sta facendo buio e dobbiamo andare, si viaggia con le sole luci di posizione ed è rischioso, di nuovo a tutta velocità su quel rettilineo illuminato da una fioca luce lunare. Pochi minuti e siamo nuovamente al check point. Il vento che soffia dal mare rende i meno tre gradi ancora meno sopportabili. Vigorosi abbracci e la speranza di rivedersi presto riscaldano tutti noi, la speranza è di rivederci presto tutti sani, tutti vivi. Noi proseguiamo verso Mariupol, i soldati tornano alle loro postazioni per affrontare un’altra notte di guerra.

Ci spostiamo a Pavlopil, qui sono di stanza i paracadutisti che controllano la zona. Sono ben accasermati ed hanno delle ottime dotazioni sia militari sia di vettovagliamento. Anche qui il morale è alto. Ci accoglie un amico di vecchia data, il comandante John (suo nickname) insignito del titolo di “eroe di ucraina” in quanto quando fu fatto prigioniero a Ilovaisk gli spararono in una gamba perchè si era rifiutato di inginocchiarsi di fronte ai soldati russi. Ci racconta che nel paesino sono rimaste solo le donne e anziani, le condizioni di vita per la popolazione civile sono difficili, la piccola economia di un tempo è stata cancellata dalla guerra. La convivenza non è facile ma pacifica. Chiaccherando con John sulla situazione una frase mi colpisce particolarmente, “per comprendere la guerra devi visitare i cimiteri e gli ospedali“. E’ proprio vero, perché la guerra non è solo romanticismo e narrativa degli eroi, la guerra lascia tracce indelebili in tutte le famiglie che hanno perso un caro e in coloro che porteranno su di se i segni evidenti di menomazioni per sempre.

Pavlopil corridoio umanitario

Andiamo a visitare il corridoio umanitario posto nelle vicinanze di Pavlopil che permette agli abitanti delle zone occupate di attraversare in sicurezza le linee per recarsi nei mercati dei paesi vicini per acquistare generi di prima necessità introvabili nei territori occupati gestiti dalle gang criminali. Lunghe code di macchine in fila in ingresso ed in uscita che attendono pazientemente il loro turno per passare, una striscia di strada circondata da campi minati. I meno fortunati a piedi con le borse piene di cibo e medicine ripercorrono a ritroso la strada verso il “paradiso” russo.

Visitiamo anche Granite, un posto sperduto tra le colline del Donbas. E’ uno dei punti più sensibili perché è la via che potrebbero utilizzare i russi per una avanzata con l’obiettivo di accerchiare Mariupol. Qui ci sono postazioni di osservazione che distano non più di 2 km dalle postazioni del nemico. Il terreno è reso duro come il cemento dal gelo ed un vento gelido batte queste lande inabitate. Il pericolo sniper è sempre presente e quando si sta fuori dai camminamenti non si è mai al sicuro. Si raggiunge dopo un lungo percorso fuoristrada, lontano da qualsiasi centro abitato, lontano da qualsiasi strada che garantisca una via di fuga. Anche qui i soldati hanno ricreato ambienti “familiari”, una doccia ed addirittura una sauna sottoterra. E’ un modo per mantenere una connessione con il “mondo normale” in una situazione del tutto anormale in condizioni al limite della vivibilità ambientale, arroccati su creste di colline ad osservare il nemico che a sua volta ti osserva. Gattini e cani sono i fedeli amici dei soldati come in ogni postazione che abbiamo visitato, qui anche un’insolita oca che si comporta come un cane seguendoti passo passo. I soldati per lei hanno adibito una comoda cuccia notturna.

Granite

Dalle colline al mare, visitiamo una nave militare attraccata al porto di Mariupol. Sono i marines commilitoni dei soldati fatti prigionieri dai russi un mese fa nello stretto di Kerch. Ci fanno vedere le cartine navali e ci spiegano cosa è accaduto durante l’attacco. Le coordinate di navigazione non lasciano ombra di dubbio, si è trattata di una aggressione in quanto le navi erano in acque internazionali. Evidenziano il fatto che alla Russia interessa il controllo del mare di Azov perché da li fanno transitare gli armamenti che da Rostov raggiungono la Crimea prima di partire per la Siria.  Essendo che il tratto prospiciente Shirokino è minato e i bassi fondali delle coste russe sul mare di Azov, obbligano i russi a passare vicino alle acque ucraine con il rischio quotidiano di scontri armati. Anche i marines ci confermano che al momento non ci sarebbe il rischio di un attacco via mare, ma con Putin non si può mai sapere cosa abbia in mente ed ovviamente sono in massimo allarme. Attendono a breve il passaggio dallo stretto di Kerch di navi provenienti da Odessa con a bordo osservatori internazionali, questo sarà il prossimo banco di prova delle intenzioni russe.

Marines a Mariupol
Foto di Roberto Travan

La “normalità della guerra” è ciò che più ti colpisce quando frequenti il fronte, sia per i civili sia per i soldati. La vita continua sempre e vince sempre su tutto, i rituali, le feste, l’ospitalità. Il tutto viene traslato in uno scenario magari irreale per chi non ha mai vissuto questa esperienza, ma l’essere umano è portato a ripetere e ricreare il mondo che conosce in qualsiasi situazione, quel mondo che gli da sicurezza e quel poco di calore necessario per vivere.

E’ in questo scenario che partecipiamo al matrimonio di Anton e Julia, entrambi soldati del quindicesimo battaglione di stanza poco lontano da Mariupol. Arrivano a bordo di una ambulanza del battaglione (unico mezzo disponibile quel giorno) vestiti in mimetica e accompagnati da altri quattro commilitoni, gli altri sono impegnati al fronte e non potranno assistere. Si sposano in un ufficio comunale di Mariupol, nessuna grande cerimonia ma i visi felici di quando mostrano le loro fedi testimoniano che per loro è e rimarrà un giorno speciale. Una volontaria gli dona un mazzo di fiori all’uscita della celebrazione, un reporter al nostro seguito gli donerà un servizio fotografico inatteso. Andiamo tutti insieme sulla spiaggia di Mariupol e lì come da tradizione stappiamo delle bottiglie di bollicine e gustiamo dolci e mandarini acquistati poco prima in un piccolo market. Anche questa è la normalità della guerra, da li a 24 ore un camion militare li verrà a riprendere per riaccompagnarli alle loro postazioni. Anton e Julia hanno la stessa espressione di tutti i neo sposi del mondo, sono emozionati e felici anche se il loro “giorno più bello” non lo hanno vissuto come tanti loro coetanei. Il messaggio però è forte, diretto e commovente, l’amore vince su tutto e non è una frase di circostanza.

Anton e Julia sposi
Foto di Roberto Travan