Trascorrere alcuni giorni in Donbas e vivere con le persone comuni aiuta a comprendere l’attuale delicata situazione che sta attraversando il paese. Nelle ultime settimane la tensione tra Russia e Ucraina si è ulteriormente acuita. Prima l’aggressione della marina militare russa ai danni di quella ucraina che ha prodotto il sequestro di due navi militari , un rimorchiatore e fatto 24 prigionieri, poi il dispiegamento ai confini di oltre 250 mila soldati russi che non lasciano presagire nulla di buono per un futuro di pace.

Il Presidente Poroshenko, a seguito di questi avvenimenti, ha firmato l’entrata in vigore della legge marziale per trenta giorni (sino al 27 dicembre). Una mossa forse voluta per lanciare un messaggio alla distratta Europa sulla questione Ucraina e per portare al massimo livello di attenzione tutti i suoi reparti militari.

Infine l’evento storico di sabato a Kyiv con la nascita della chiesa unificata ucraina, Chiesa che così si smarca dal Patriarcato di Mosca, a sua volta ridottasi in una posizione isolata nel mondo religioso, proprio come l’isolamento politico della Russia voluto da Putin per alimentare la “sindrome da accerchiamento” ad uso interno.

Intorno a questi eventi si è scatenata la disinformazione. Al Cremlino sono ben consci che la maggior parte dei media internazionali oramai nemmeno più verificano le notizie, ma si limitano a fare dei copia e incolla di testi lanciati dalla TASS o presi da outlet di dubbia deontologia giornalistica.

Noi di StopFake abbiamo invece deciso di verificare de visu cosa sta accadendo in una delle regioni più delicate delle undici ove è stata istituita la legge marziale. Siamo venuti in Donbas.

In questo articolo una prima parte del viaggio che inizia a Kyiv in una fredda serata di dicembre con il treno notturno che porta a Mariupol. Di buon mattino arriviamo a Volnovakha, cittadina tristemente famosa per i morti del gennaio 2015, quando morirono dodici persone che viaggiavano a bordo di un autobus durante un bombardamento partito dalle linee russe. Sceso dal treno vengo subito controllato da una pattuglia della polizia. Gli stranieri per entrare nelle regioni ove vige la legge marziale devono essere dotati della “green card” del Ministero della Difesa. Ne sono provvisto e quindi posso proseguire senza problemi.

Uscito dalla stazione mi reco al mercato, un mercato molto grande e affollato. Alla fine del mercato ci sono diversi uomini di mezza età che stazionano in gruppo. Nonostante il loro aspetto mi ricordi i titushki visti a Maidan durante la rivoluzione, mi avvicino per capire chi siano e cosa stiano facendo. Una volta avvicinatomi mi propongono il viaggio a Donestk a bordo dei loro pulmini. Sono i driver delle decine di pulmini che ogni giorno arrivano dalle zone occupate, ove manca tutto, per acquistare generi di prima necessità e medicine.

Mi sono sempre chiesto come mai chi anche in Italia esalta le posizioni separatiste del Donbas, non si sia mai domandato perchè i residenti dei territori liberi non si recano mai in questo “paradiso” delle zone occupate a differenza dei cittadini di Donestk i quali si sobbarcano due ore di autobus per venire a comprare qualche cosa qui. Sembra che certe riflessioni nell’ambiente dell’informazione italiana siano state bandite negli ultimi tempi, specie quelle che contraddicono la linea editoriale decisa chissà dove.

Dopo il mercato, vicino alla stazione degli autobus, è stato allestito un ufficio mobile dove vengono erogate le pensioni agli ucraini che vivono nei territori occupati. Anche qui lunghe file di persone che pazientemente attendono il loro turno per riscuotere quanto guadagnato in una vita e che il cosiddetto “governo della repubblica popolare” non può garantire semplicemente perchè non ha una economia se non quella di guerra legata al contrabbando.

In questo quadro, se si escludono gli autisti sopra citati, non si avverte mai una situazione pesante o di tensione. Una pattuglia della polizia controlla dall’interno dell’auto che tutto proceda con ordine, le persone al mercato sono sorridenti e gentili, neppure la visone di una macchina fotografica o della scritta “press” provoca alcuna reazione ostile. I militari li incontriamo alla posta mentre ritirano i pacchi inviati da familiari e volontari. Fanno la coda mischiati ai residenti locali ed anche in questo caso si avverte un clima sicuramente non ostile. Va ricordato che qui il fronte di guerra non dista più di 30 km.

Entro in un bar sulla piazzetta per un caffè, un locale molto carino e ben arredato. Non è un “espresso” italiano ma è un discreto caffè, specie se accompagnato con uno degli ottimi dolci proposti. In un tavolo vicino al mio ci sono due giovani ragazze, probabilmente studentesse. Mentre sorseggiano un the utilizzano i loro smartphone per pubblicare post sui social. Sono vestite in maniera semplice ma coordinata, proprio come le ragazze della loro età in Italia. Mi sono chiesto quali siano i loro sogni e le loro aspirazioni e credo che sognino le stesse cose di qualsiasi ragazza coetanea sia che viva a Roma o Parigi, ma con la differenza che queste ultime non hanno la guerra in casa e vivono in una Europa che gli garantisce i diritti che invece qui, a poche decine di km di distanza, qualcuno vorrebbe negargli.

Siamo appena agli inizi del viaggio, ma questa “pesantezza” da legge marziale proprio non si avverte.

 

Continua…..