Natalia ISHCHENKO

Il 9 maggio, la Giornata della Vittoria “del popolo sovietico nella Grande Guerra Patriottica del 1941-1945”, non è mai stato semplicemente giorno commemorativo di festa, bensì un importante strumento ideologico. Sin dal suo principio, infatti, questa festività coincide con una incisiva manifestazione della propaganda di stato.

Nella Russia di oggi poi, tale ricorrenza si svolge in una tale distorsione storica dei fatti della Seconda guerra mondiale che nemmeno Stalin sarebbe stato in grado di prevedere.

UNA STORIA DI MANIPOLAZIONI 

Probabilmente per i “fact checker” non esiste argomento più complesso delle manipolazioni e delle false narrative riguardanti la festività sovietica del 9 maggio.

La resa incondizionata della Germania venne siglata il 7 maggio del 1945 a Reims, in Francia, presso il Quartier generale Supremo delle Forze di Spedizione Alleate (SHAEF), ma entrò poi in vigore l’8 maggio 1945, alle ore 23:01 CET (orario dell’Europa centrale).

Il giorno 7 maggio, il generale Alfred Jodl, capo di gabinetto dell’esercito tedesco, sottoscrisse i fogli di resa a nome della Germania sotto l’autorizzazione dell’ammiraglio Karl Dönitz, il quale fu scelto da Hitler come suo successore in qualità di Presidente del Reich, Ministro della Guerra, e Comandante supremo delle forze armate.

Il luogotenente generale Walter Bedell Smith, capo di gabinetto del SHAEF, capeggiò la delegazione alleata come rappresentante del generale Eisenhower e firmò il documento di capitolazione, mentre il generale maggiore Ivan Susloparov lo firmò come delegato della Russia.

Stalin però voleva ottenere di più e si rifiutò di riconoscere l’armistizio appena sottoscritto chiedendo che un nuovo documento di resa venisse firmato da un più alto livello di rappresentanza e proprio nella capitale del Terzo Reich, Berlino. La posizione sovietica era che la resa della Germania nazista non potesse essere considerata semplicemente un evento storico, ma che dovesse anche esprimere l’importante contributo del popolo sovietico alla vittoria degli alleati, considerando che, secondo Mosca, il documento di Reims poneva gli alleati in primo piano. Per Stalin quindi, la resa della Germania doveva essere firmata dai leader militari sovietici di grado più alto così da far risultare la vittoria dell’Unione Sovietica come preponderante.

Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’URSS concordarono dunque di considerare la resa di Reims  come atto preliminare. Stalin persuase gli Alleati a rimandare gli annunci ufficiali della fine della guerra facendogli accettare di rimandare la divulgazione della notizia. USA e Gran Bretagna acconsentirono a non pubblicare l’atto di capitolazione di Reims per 36 ore e ad organizzare una seconda cerimonia di resa a Berlino.

L’annuncio della resa ufficiale della Germania si svolse come d’accordo, tuttavia, in via ufficiosa la notizia della fine della guerra cominciò a circolare nel mondo già dal 7 maggio.

I tedeschi, infatti, ebbero notizia della loro sconfitta e della fine della guerra il 7 maggio, quando il Reichsminister Lutz Graf Schwerin von Krosigk annunciò via radio la capitolazione della Germania.

Inoltre, la notizia che il mondo aspettava ormai da tempo cominciò di fatto a diffondersi per tutto il globo dopo che il corrispondente dell’AP (Associated Press), Edward Kennedy, uno dei 17 giornalisti invitati a testimoniare la sottoscrizione dell’atto di capitolazione di Reims, ne fece un resoconto pubblico: nonostante la stampa dell’ovest dovesse rispettare un silenzio stampa di ancora 24 ore su questa notizia, Kennedy infranse il silenzio imposto dai militari e divulgò il fatto. “L’assurdità di cercare di mettere a tacere un evento di tale magnitudine era troppo evidente” scrisse Kennedy più tardi. Per questo suo gesto, la Associated Press prima lo riprese e poi lo licenziò.

Sessant’anni dopo, nel 2012, l’AP si scusò per aver sollevato Kennedy dall’incarico e ammise che in realtà aveva agito correttamente.

“Fu un giorno terribile per l’AP. Fu affrontato nel peggiore dei modi possibili”, disse il presidente e CEO Tom Curley, affermando che Kennedy avrebbe dovuto essere elogiato, e non licenziato. “Una volta finita la guerra, non è possibile celare un’informazione di tale portata. Il mondo doveva sapere” disse Curley.

LA SECONDA RESA

L’8 maggio 1945 venne quindi firmato un secondo documento di capitolazione della Germania presso il quartier generale sovietico a Karlshorst, un quartiere di Berlino est. Il maresciallo Wilhelm Keitel, il comandante supremo di tutta l’armata tedesca, sottoscrisse il documento a nome della Germania, insieme al capo dell’aeronautica Generaloberst Hans Jürgen Stumpff e all’ammiraglio della marina Hans-Georg von Friedeburg.

Per gli Alleati il documento venne firmato dal maresciallo sovietico Georgy Zhukov e dal vice comandante della Royal Air Force, il maresciallo Arthur Tedder. Testimoni della firma del trattato di resa furono il generale americano Carl A. Spaatz e il rappresentante francese, il generale Jean de Lattre de Tassigny.

Nelle sue finalità pratiche il documento di Berlino confermava i punti del trattato di Reims. Nel documento di Berlino il paragrafo 2, che delineava le condizioni di resa per l’esercito tedesco, fu ampliato e riformulato in modo più severo, ma l’accordo principale rimase invariato ed entrò in vigore l’8 maggio del 1945 alle 23:01 CET, riproponendo di fatto, ciò che era stato già sottoscritto a Reims il giorno precedente.

Come detto, la seconda cerimonia di resa ebbe luogo a Berlino nella tarda serata dell’8 maggio 1945, ma mentre a Berlino era ancora l’8 maggio, a Mosca, che è un’ora avanti per via del differente fuso orario, era già iniziato il 9 maggio.

Questo è un dettaglio importante, perché i leader sovietici non solo considerarono la seconda cerimonia di resa, quella in cui prese parte il maresciallo Zukhov, come l’unica legittima, ma per Mosca fu anche di grande importanza mostrare come, sia la firma che l’entrata in vigore dell’atto di capitolazione, stessero avvenendo rigorosamente secondo le regole di Mosca. E’ significativo infatti che Stalin, stabilendo con gli alleati l’entrata in vigore della resa per le 23:01 del 8 maggio, ottenne che la capitolazione della Germania corrispondesse alle 00:01 del 9 maggio della capitale sovietica.

 Questo non fu un dettaglio tecnico, bensì ideologico.

Il cambio di orario fu giustificato come segue: “I tedeschi cambiarono immediatamente l’orario nei territori da loro occupati adeguandolo all’ora di Berlino. La vita nelle occupate Parigi, Minsk e Kiev scorreva secondo l’ora sincronizzata con gli orologi della Germania di Hitler. Per Hitler è stato opportuno attaccare e comandare secondo l’ora di Berlino, ma quando i nostri soldati sono entrati nella capitale tedesca, l’ora di Berlino è cessata, in tutti i sensi, letterale e figurato, storico e simbolico”.

Celebrare la Giornata della Vittoria il 9 maggio ha due finalità, entrambe di vitale importanza per la creazione del mito sovietico. Primo, vuole sottolineare che la firma della resa della Germania con la partecipazione del capo militare dell’Unione Sovietica era la cerimonia più importante; secondo, evidenzia che il 9 maggio, quella che fu fino ad allora la capitale del Terzo Reich, viveva secondo l’ora di Mosca, figurando l’Unione Sovietica come vincitrice della guerra con la Germania di Hitler.

MITI PERICOLOSI

Manipolare la vera data della fine della Seconda guerra mondiale e la resa finale della Germania non è l’unico esempio di come la propaganda del Cremlino plasma la storia della “vittoria del popolo sovietico nella Grande Guerra Patriottica”;

Per esempio, oggi sappiamo che la famosa fotografia dei soldati dell’Armata Rossa che alzano la bandiera sovietica sul Reichstag tedesco era stata in realtà una messa in scena del fotografo Yevgeny Khaldei.

Mikhail Yegorov e Meliton Kantaria non sono stati né i primi né gli unici fra i molti soldati dell’Armata Rossa ad issare la bandiera rossa sul palazzo del Parlamento tedesco. E la bandiera stessa non fu l’unica ad essere issata; secondo dei testimoni, al Reichstag vennero appese diverse bandiere rosse e non tutte somiglianti alla bandiera della vittoria nell’iconica fotografia di Khaldei.

Certamente, in primis, verificare tutti gli eventi relativi al maggio del 1945 è un compito ingrato. È difficile infatti contrastare le false notizie in ogni guerra, e ancora di più se accaduta 77 anni fa. In secondo luogo, in tutta la storia umana si vede la tendenza a mitizzare. I miti sono più accattivanti delle storie basate su fatti reali. La grandezza delle vittorie mitologiche è superiore a quella della vita reale, rendendole più affascinanti ed avvincenti delle gesta dei veri eroi. Le leggende sembrano spesso più vere degli eventi realmente accaduti.

Ma il problema di oggi non è l’oggettiva insensatezza o l’impronta propagandistica indotta nella percezione del 9 maggio, ma piuttosto il fatto che la manipolazione di una data vecchia di 77 anni e le notizie false della propaganda sovietica si sono rivelate utili per fomentare il nuovo conflitto armato in Europa. Il mito del singolo vincitore sul fascismo si è materializzato nelle bandiere della vittoria che decorano i carri armati russi mentre invadono l’Ucraina, che pendono dalle case occupate dalle truppe degli invasori russi, mentre gli ex alleati nella coalizione contro Hitler improvvisamente diventano “nemici” perché è stata “solo l’URSS a sconfiggere Hitler”.

Quando, nel maggio 1945 finì la Seconda guerra mondiale, nessuno avrebbe mai immaginato che interi concetti politici, tecnologici e teorie geopolitiche, dall’essere mere fondamenta di vecchie false narrative e di costrutti propagandistici, sarebbero diventate oggi le basi di una nuova guerra in Europa. Ma è esattamente ciò che è accaduto.